Prefazione

Circa cinquemila anni or sono il faraone Sesostri III organizzò il suo viaggio facendo costruire una flotta di navi funerarie che lo avrebbero accompagnato oltre la vita terrena e che poi vennero interrate nei pressi del maestoso sepolcro, sigillato in una piramide. Il libro di Marco Longhi è la cronaca di attualità contemporanea del viaggio misterioso verso l’aldilà, che è iniziato da quando l’uomo ha preso coscienza della vita e della morte e le ha correlate insieme con l’idea del viaggio che unisce l’una all’altra in un sigillo eterno e inscindibile. In questo splendido racconto di Marco Longhi, la flotta delle navi funerarie è sostituita da un’Audi Q5 in viaggio tra l’Italia e la Svizzera, attraverso il Valico del San Gottardo, una fra le più antiche porte che congiungono l’Europa del Nord con il giardino incantato di bellezze della natura e dell’arte che è la penisola italica. L’auto è osservata dall’alto mentre è sulla via del ritorno, e cioè mentre sta rientrando nell’eden della vita, che è metaforicamente rappresentato dall’Italia. C’è un nesso di continuità tra la vita e la morte: Andrea è già morto, ma dall’alto osserva Francesca che ritorna in patria con le ceneri di lui. C’è un legame d’amo­re tra la vita e la morte: Andrea e Francesca si amano come le due colombe dal desio chiamate descritte da Dante. E hanno compiuto insieme il viaggio per perfezionare il loro amore. Hanno compiuto il viaggio per rispetto della dignità della vita, con il trapasso di Andrea attraverso l’impervio valico del San Gottardo: un orrido difficile e spaventoso da affrontare nel passato, si transitava sul Ponte del diavolo a strapiombo sulla cascata. Il San Gottardo, dunque, è anche una metafora: rappresenta il coraggio di esprimere una scelta e di compiere un viaggio impegnativo. Ovviamente oggi le cose sono cambiate e c’è una comoda autostrada che conduce al moderno tunnel che attraversa la montagna. Il senso antico del viaggio, tuttavia, è rimasto identico come cinquemila anni or sono: si muore per poi continuare a vivere in chi rimane, si muore con dignità e con l’agio dell’assistenza amorosa di chi ci ha amato nella vita, si compie il viaggio nel segno dell’amore e della dolcezza quotidiana di fare le cose insieme.
Andrea ha scelto l’eutanasia, la morte dolce e volontaria, compiuta con l’assistenza dei medici, ma più di tutto con il conforto amoroso della sua compagna e la vicinanza solidale dei parenti e degli amici più stretti. La vita ha mandato ad Andrea l’ultima “sentenza”: sclerosi laterale amiotrofica, ed è questo l’autentico biglietto del viaggio, emesso dalla natura o forse da Dio, e che non prevede il ritorno a casa se non che in cenere. Ad Andrea, però, è concesso di scegliere il modo in cui intende compiere il suo viaggio, che è comunque decretato da altri, i quali si collocano molto al di sopra di lui, e ai quali lui non può appellarsi per ottenere una modificazione della sentenza già decisa. Andrea deve comunque intraprendere il viaggio senza ritorno: la sentenza è irrevocabile. Tuttavia, egli può scegliere se sottoporsi al patimento e all’umiliazione di una morte per consunzione che lo divorerà lentamente e inesorabilmente, mentre è ancora vivo, gli scioglierà i muscoli, gli impedirà la parola, gli toglierà il respiro e poco per volta lo umilierà con sofferenze e dolori sempre più in­sopportabili e degradanti. Oppure può scegliere la sua flotta faraonica di navi funerarie e vivere la sua dipartita come un evento di grazia e di coraggio. Fuori di metafora, può salire sulla sua auto, a fianco dell’amata moglie e andare verso la definitiva meta di apprendimento del segreto della vita, e come Ulisse spronare i suoi compagni, fatti non foste per vivere come bruti ma per seguire virtute e canoscenza.
Il racconto di Marco Longhi, anche se è frutto di una situazione romanzesca, è in realtà la cronaca veritiera di qualcosa che quotidianamente accade, perché ogni giorno c’è più di una persona che compie il viaggio impervio, la scelta coraggiosa di attraversare il Ponte del diavolo, superare il San Gottardo, andare in Svizzera, accompagnati da chi li ama, nel segno dell’amore, della comprensione, della libertà di scelta, del desiderio di vivere il viaggio in una cornice di addolorata dignità, di ricordo struggente ma decoroso, sereno e marcato dal coraggio e dall’amore, per chi resta a evocare il pellegrino che ci ha preceduto. Per tutti questi motivi, il racconto di Marco Longhi, che si legge in un fiato e che non è per nulla lacrimoso o scandaloso, è una lettura da fare per riflettere sull’enigma del viaggio e sulla correttezza morale e libertà di scelta da accordare a chi ha ricevuto dalla natura o da Dio la sentenza imperativa di essere giunto al suo finisterre. Un libro da leggere e da tenere caro, come un amico prezioso.

Sandro Gros-Pietro