Postfazione

Silvia Marzano è nota e apprezzata poetessa italiana, autrice di due precedenti libri di poesia, Anemoni bianchi, 2001, e Arcani di-segni, 2007, entrambi pubblicati a Torino, ove la scrittrice, nativa di Poirino, da sempre abita e nel cui ateneo per anni ha insegnato ermeneutica filosofica. Vi è una continuità di ampliamento e di approfondimento nella scrittura poetica di Marzano. Tale continuità è testimoniata anche all’interno di questo solo libro, grazie alla preziosa ripresa delle Poesie giovanili, alcune risalenti a oltre cinquant’anni fa e altre a meno, ma che la poetessa offre come omaggio fuori dell’attuale contesto, tuttavia reso alla coerenza del viaggio da lei intrapreso dentro la parola poetica. Si tratta di solo cinque testi, presumibilmente scritti ai tempi dell’adolescenza, cioè alla vigilia degli studi universitari, destinati poi ad aprire la visione sull’immensità del “mondo della parola”, che sarebbe poi divenuto il mare in cui la scrittrice si tufferà. Se si legge l’autoritratto per cenni tracciato in Volto di fanciulla si ritrovano alcune componenti fondanti del fare poetico di Marzano, come l’eco di un sogno, la rosa non schiusa, i tremori di immagini e l’esalazione in un soffio, che già allora costituivano i semi del bosco di metafore, di cui solo più in avanti Marzano delineerà il galateo e il percorso di introduzione. Ecco, poi, che undici anni dopo, in Anch’io come un fiore, ritroviamo pienamente sviluppato quel sentimento di ascolto delle voci poetiche della natura, che non è puro panismo, ma che invece è partecipazione a un dialogo di vita più inverante e approfondito, tale da sviluppare una comunione con le forme espressive del mondo, capaci di rinnovare indefinitamente la loro caducità, in una locuzione di durata, che già diviene vestibolo di eternità.
La piena maturità poetica del libro presente, Poesie per la mamma, affascina innanzi tutto per la capacità di mescolare il fatto e la vicenda personale con i destini dell’umanità e, più in generale ancora, dell’intero cosmo. Il vocabolo usato è decisamente improprio. Il contesto poetico di cui si parla, in real­tà, non solo avrebbe ammesso, anzi avrebbe de­ci­samente preteso l’impiego della voce dantesca transumanare, ripresa poi anche da Pier Paolo Pasolini. Ma si è preferito prenderla un poco più bassa, per non suscitare la lamentazione filologica della scrittrice, che è sempre votata a fornire di sé la lettura più semplice. Il canto verso la mamma è, dunque, un canto orientato alle origini, le quali sono contestualmente anche la foce e il nostro ultimo approdo. Per “nostro ultimo approdo” si dovrà in­tendere la nozione conclusiva che ci siamo fatti di questo misterioso e meraviglioso passaggio alla vita che ci è stato regalato appunto dalla nostra mamma. Che ne è stato del nostro percorso? wozu? o anche warum, si chiede a un certo punto la poetessa, in Esistere in sospeso, oscillare. Ed è la poesia conclusiva del canto, per il semplice motivo che per dare una risposta a tale domanda non bastano più la filosofia, la scienza e l’arte, ma bisognerebbe ricorre alla fede. Il ricorso alla fede viene dalla poetessa più volte proposto come ricchezza del patrimonio umano che arricchisce la rappresentazione del mondo e che incarna l’emozione spirituale profonda che trema dentro l’anima dell’umanità intera. Ma il poeta non può andare più in là, se vuole mantenere il discorso poetico nei limiti della laicità e cioè se non intende tradurre la poesia in preghiera. Anche se, metaforicamente, più volte questa “traduzione” del linguaggio dalla poesia all’orazione è allusa e fino lievemente declamata nei versi, specie là ove s’intona l’inno Benedici il Signore, anima mia. In aggiunta si dovrebbe anche ricordare il richiamo al Canto X del Paradiso, precisamente all’orologio che l’una parte e l’altra tira e urge con l’intento di mattinar lo sposo, che diviene metafora della funzione svolta dalla poesia, che è orologio del tempo umano, cioè supremo strumento di misurazione del nostro passaggio nel mondo, e che è un tale meccanismo per cui ogni sua parte – quella che spinge e quella che tira, quella che sviluppa fede e quella che la nega – entrambe si orientano a “mattinar lo sposo”, cioè a lodare la sorgente di vita e di amore, Dio che illumina il mondo. Tuttavia, al di là di ogni sapienza filologica, la soglia dell’umano e del troppo umano rimane il confine artistico bene contrassegnato nella poesia di Marzano, basti pensare al viaggio di incantamento da lei documentato in versi e compiuto in Romania e in Ucraina, per l’esattezza nella regione della Bucovina, il cui esito finale si conclude con la commossa rievocazione della figura e dell’opera di Paul Celan. Ma, per concludere, si deve dire che è proprio nel grande viaggio dentro l’umano che Silvia Marzano concepisce lo sconfinamento di “garbo” al di là del limite, come leggiamo nella bellissima poesia All’ombra dei grandi olmi, in cui emerge con pienezza quell’ascolto, di cui l’autrice parla nella sua nota d’introduzione al libro: “All’ombra dei grandi olmi / nel crepuscolo mite / nel viale dello storico castello / stiamo /e la pace e il canto degli uccelli / tutt’attorno / ci avvolge di sereno / e magnanimo e fine / avvertiamo il generoso garbo, / l’essenza viva / di antica nobiltà”.

Sandro Gros-Pietro

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