Anna Maria Salanitri Costacurta è nata a Castello d’Annone, in provincia di Asti, e vive ad Asti dove per anni si è dedicata all’insegnamento nelle scuole elementari.
Ha esordito nel 1972 con Le parole di terra (Rebellato Editore, Cittadella, Padova), raccolta che comprende le poesie della prima giovinezza, a cui seguono dopo circa un ventennio, La vita a metà (Edizioni del Leone, 1993), Il cielo verticale (Laboratorio delle Arti, 1996), Cifrario minimo (Genesi Editrice, 1999), Il colore dei giorni (Bastogi, 2001), Dove si perde la memoria (idem, 2005), Tra zone di penombra (Manni, 2008), Il vizio di rifiorire (Europa Edizioni, 2005).
È presente in alcune antologie ed ha conseguito diversi primi premi fra cui: Noli Streghetta, l’Agave d’Oro, l’Aquilaia (Salaiola), Nazionale Histonium (Vasto), Premio esclusivo per il Piemonte (Histonium), Italo Carretto (Bardineto), Il Porticciolo (La Spezia), Borgo Ligure (La Spezia), Il Golfo (La Spezia), San Valentino (Terni), Spazio Donna, Città di Moncalieri, Città di Pinerolo, Zacem (Savona).
MINI ANTOLOGIA POETICA
Crepuscolo
Dopo un giorno di gelo
ci aggiriamo tra fiochi lumi.
Il crepuscolo invernale stempera
viola e ocra ai confini del cielo.
Nel nitore pulsante le stelle hanno
più voce. Fra poco verrà la luna
a falciarle, a proiettare le nostre
ombre storte sul viale ancora ingomrbo
di fogli accartocciate.
Di questo tempo sospeso
che vorremmo prolungare
di questa sera che luccica
nella stagione spoglia, sacrificata
resta la concessione dorata
fatta al nostro buio.
Ora che possiedo il tempo
Vivevamo stregati dal futuro
ci sembrava il presente già scontato
migliorabile in un avvenire immaginato
immune da disgrazie e delusioi.
Ora che possiedo il tempo a dismisiura
e non solo i ritagli come alberi addobbati
restano quegli anni indaffarati
e le magie delle pause ristrette.
Ed erano quei giorni malgoduti
dotati di prolungamenti indeterminati
i soli degni di essere vissuti
mentre il presente un’entità scolorita
che non vale la pena considerare.
Non conosce il tempo la ragazza che passa levigata
gli anni non l’hanno ancora sfiorata
e si crede esente da sconfitte e decadenze.
Non conosce il trascorrere che non arretra
la ragnatela vischiosa dei rimpianti
il suo viso di petalo di maggio è un’illusione precaria
perché certo è solo lo scorrere impaziente
dei giorni senza ripetizioni.
La ragazza non sa di andare incontro
alla sorte che accoluna i mortali, senza scampo.
Ma ora, nel presente, trionfa la gloria
della sua potenza che nessuno dei Signori della terra
è in grado di possedere.
Vietato immergersi
(a tutti i morti del mare)
Vietato immergersi:
il mare è un sacrario.
Per i morti senza camposanto
senza tomba dove piantare
una croce
fa fiori di sale
e ghirlande di spuma
stasera il mare.
Ho sentito stamani
Ho sentito stamani nell’azzurro
che riempie gli interstizi
fra le case
il framito appena percettibile
delle radici sotto l’asfalto.
L’ho sentito con il cuore
come s’ascolta un frullo
sotto strati di compressione
l’ho sentito con l’anima
che avverte soto la terra
pulsare la spasmodica ricerca degli uomori
per avviare l’opera della fioritura.
Più dei fasti dell’esplosione
mi avvince questa fase segreta
sconosciuta ai più che avverte solo
chi tasta la terra come una madre
il ventre dove lievita la vita.
La sera dei tigli
La sera deitigli s’insinua nelle case
cancella gli odori stagnanti delle cene.
Un’altra stanza, un alto luogo
e lo stesso effluvio dolce e suadente
come avvolta carezza.
La palla lanciata dal ragazzo
dalle gambe nude
incrina il vetro del cielo
o forse è un guizzo di uccello
repentino come una carezza.
S’è frantumato il cielo
S’è frantumato il cielo
con le stelle
a far da strascico
ad una lussruiosa luna.
E noi andiamo
con il disgregato universo
atomi alla deriva,
nullità disperse
nell’infinita nullità
del cielo.
Di tutte le morti
Di tutte le morti
senza funerali
nessuno piange la ragazza
sepolta in un bozzolo
che si fa beffe della gloria passata.
Nella bara di carne addensata
i capelli sbiaditi
gli occhi appannati
la pelle scheggiata
conduce un’irrisolta agonia
e vorrebbe forare l’involucro
triste e riemergere lieve
ma è impedita da arpioni e macigni
nel sarcofago di carne
addensata.
L’inappartenenza
Vanto è l’inappartenenza
del corpo che non subisce
l’assalto dei predoni.
Raggomitolato su se stesso
integro nel suo orgoglioso
tramonto
sfugge i finti-amorosi
lacci del possesso.
Uno scrigno di tesori
che non si arrenderà
ai pirati.
Primizie
Gli arabeschi del sole
gli smerigli dell’aria
sul viso del mattino
il profumo di erba e di terra bagnata
dal temporale
e il ragazzo di allora
uscito da chissà dove
plasmato sul viso di un altro.
Primizie che più non mi competono
le lascio alla ragazza antica
che fa capolino da un angolo
e reclama le sue prede
per la raccolta delle meraviglie.
Senza marchio
Mi appartiene il tumulto:
la declinazione della pace
non mi si addice
mancano al mosaico alcuni intarsi
esiste un vuoto
dove turbinano ovvietà
senza marchio.
Di me sfrondata
(ad Eugenio)
Di me sfrondata del superfluo
vorrei restasse l’essenza
il credo inviolabile
l’interna voce che ammonisce
o approva.
la sete di meraviglie.
Questo, quando sarà finito
il mio tracciato, vorrei
trasmigrasse in te
non come triste eredità subita
ma come elargizione
per un vivere migliore.
(ultimo aggiornamento: 2014-05-30)
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