Gianni (Giovanni) Giolo, nasce a Vicenza e si laurea in Lettere Classiche all’Università di Padova. Già insegnante di latino e greco presso il Liceo Classico “A. Pigafetta” e di latino e greco biblico presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Vicenza, ha al suo attivo una carriera di saggista, traduttore e critico letterario. Ha pubblicato un estratto della sua tesi di laurea sulle cohortes urbanae e scritto saggi sulla tragedia greca di Euripide e sulla retorica nel mondo antico per l’Università di Padova. Ha curato un’antologia di Aleardo Aleardi, tradotto le poesie di Saffo e per la collana “Acquerelli” dell’Editrice Demetra il Fedone di Platone, La vita felice e La tranquillità dell’anima di Seneca, La Magia di Apuleio, i Dialoghi degli Dei di Luciano di Samosata, le Confessioni di Sant’Agostino e i Vangeli.
Ha pubblicato con l’Editrice Veneta nel 2004 Scrittori di Vicenza, nel 2006 Lettere di Giacomo Zanella ad Alvisa Dalle Ore, nel 2008 Da Zanella a Meneghello e nel 2012 Zanella e Leopardi. Nel 2012 riceve la dignità di stampa al Premio I Murazzi, 4ª edizione e pubblica il libro Cento sonetti, Genesi. Nel 2015 riceve la dignità di stampa al Premio I Murazzi, 5ª edizione e pubblica il romanzo A ciascuno il suo, Genesi.
È giornalista pubblicista e collabora da anni come critico e saggista con varie riviste letterarie, quotidiani e settimanali.
***
Anche tu, Fernando, te ne sei andato
col tuo lungo corteo di fama e gloria,
di libri e successi e memoria,
rinchiuso nel famedio celebrato,
ma tu desideravi i silenziosi
giardini praghesi di Mala Strana,
dove viene la cincia oltremontana
e riposare accanto ai deliziosi
fiori di aquilegia e asfodeli.
Desideravi forse la presenza
della natura e dei cipressi fedeli
ai luoghi oscuri e senza sole,
dove tutto è ombra e assenza
e dove si spengono le parole.
***
Mamma, ricordo i sacrifici immani
che tu facesti per farti il tuo piccino
appartamento, nido agli dei mani
per avere i tuoi figli vicino.
Andasti da tua madre a chiedere
poco denaro che ti fu negato.
Ti fecero piangere e gemere,
ricordo il tuo silenzio appartato,
pieno di lacrime e umiliazione.
Mamma, vorrei dimenticare il fato
e chiedere la tua benedizione,
ma so che sei in una pace ignota.
Inorridisco invece per lo stato
della mia vita disperata e vuota.
***
Ho passato quindici giorni al sole
di Rodi, isola di sogno antico,
Kamiros, Lindos, un sonno amico,
quali d’Omero le dolci parole,
mi sprofondò come in una fossa.
Rimasi stordito e annullato,
in tanto torpore abbandonato,
le caldi notti con la luna rossa.
L’animo stanco, sfinito e svuotato,
un mare perlaceo e salutare,
mi sentivo inerme e malato
riandando al tempo dei miei errori.
Sole, cielo e azzurro di mare
fra canti ellenici e rari rumori.
***
Bruciai d’amore gli anni incandescenti,
ora guardo il focolare spento
ma la cenere è calda e sento
che tutto passa rapido e i venti
trascinano le foglie ingiallite
lungo i margini polverosi delle
strade battute dalla gente nelle
giornate squallide e avvilite.
È inutile rivangare il passato,
non rimane nulla di assoluto,
solo della polvere nel selciato
arido della vita disastrata.
E allora perché nel dissoluto
vano dei ricordi resta una grata?
***
Ora qualunque cosa tu dicessi
io ci crederei, disse una fata
in una favola dimenticata,
parole d’amore che dischiuderei
se lo potessi ma solo in fantasia,
perché non ho nessuno a cui mentire.
Il tempo occulta il nostro dire
e ci espone alla nostra follia.
Metti legna nel fuoco, o fanciulla,
mentre tu parli l’ora è già fuggita
e sommuove la cenere per nulla.
Accada quel che deve accadere,
ormai è prossima la dipartita,
il vento smuove le foglie leggere.
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