Pietro Barlassina è nato a Monza, città in cui vive, il 20 luglio 1943. Docente di lettere italiane in un istituto superiore cittadino.
In poesia ha pubblicato: Quarta coniugazione, Rebellato, Padova 1973, premio Città di Novara; Passaggio a caminetto, Città armoniosa, Reggio Emilia 1981, con una nota critica di Giorgio Bárberi Squarotti, premiato al Cenacolo Orobico-Città di Bergamo; Rileggendo Bernanos, Bologna 1984, a cura di Carlo Bo, premio Senigallia.
In narrativa I turchi, finalmente!, Casa Editrice Piemme, Casale Monferrato 1991, con una prefazione di Giorgio Bárberi Squarotti; In me la tua voce, Editore Bonaccorso, Verona 2004, premio Città di Moncalieri; L’affresco, idem, 2006.
Di lui hanno detto: su Quarta coniugazione: “… Quasi in un cianografico processo di sequenze e di occasioni cheformano l’iter segreto della sua biografia, l’attenzione del poeta è tutta impegnata nell’osservazione dei risvolti meno provvisori della sua quotidianità, assunta a emblema dei torturanti interrogativi e insolubili enigmi dell’esistenza, del perenne dualismo tra la sete di vivere e il muro aspro e invalicabile della ragione, che non dà mai l’attesa risposta…” (Bino Rebellato)
su Passaggio a caminetto: “… l’andamento di questa poesia è, a ben vedere, per domande gettate bruscamente, duramente, contro un vuoto che non è mai possibile sapere se davvero, in qualche luogo lontano almeno, contenga chi sia in grado di dare una risposta o, comunque, di far capire che la domanda è stata ascoltata, ricevuta… vi si nota un’estrema contrazione dei testi, tutti notazioni secche, aspre, taglienti come spade, che escludono ogni esitazione o ampliamento sintattico e la presenza stessa del verbo, per campire nette e crude in un verso scandito e spezzato, volutamente disarmonico, sorretto, se mai, dal ritmo arido dell’arrovellato pensiero del protagonista meditante, che si torce su se stesso fino a spremere ogni dolore e pena… Siamo di fronte ad uno dei rarissimi casi, nella nostra letteratura, di altissima poesia religiosa: ancora una volta tanto più intensa e viva quanto più lontana dall’inno e dall’ottimismo e, di conseguenza, più nudamente attenta all’impietosa dichiarazione della verità del dolore e della morte (e della fatica di vivere)…” (Giorgio Barberi Squarotti)
su Rileggendo Bernanos: “… La raccolta sembra avere una genesi anomala rispetto alla tipologia otto-novecentesca dell’occasione, che nasce dagli incontri e scontri del poeta flâneur con i minimi incidenti del reale. Qui le poesie partono da suggestioni letterarie, cioè da alcuni passi di un’opera di Bernanos, trascelti nei loro momenti di attenzione lirica e lasciati convivere, in un’inedita simbiosi, col testo, che funziona come una sorta di postilla poetica. Ma le vie della poesia sono infinite… molto interessanta, a tal proposito, il ricorso alla tecnica della condensazione e della riduzione essenziale, alla sintassi ellittica, al montaggio per stacco, in finali riduzioni di campo, a un tipo di frase nominale che si scosta dalla formula più nota, in enunciato indipendente, e che, prolungandosi invece in una secondaria relativa, produce un’inattesa sospensione sintattica: Quel sottile panico che stringe / nella quiete dei muri, tra vocali consuete / il fulmine piombato a ciel sereno…” (Sandro Genovali)
su I turchi, finalmente!: “… il romanzo è ambientato nell’Europa del Cinquecento ma i turchi proprio poco hanno a che vedere con le vicende che vi si intrecciano, e la loro presenza non va al di là dell’occasionale esclamazione di un personaggio di fronte alla caterva di mali, di nemici, di briganti, di assassini, di soldati che attraversano l’Europa durante la guerra dei contadini e i sussulti più aspri e violenti seguiti alla riforma di Lutero, per cui l’arrivo dei turchi, per tragico paradosso, potrebbe apparire come un tanto atteso e corale, se pur cruento, gesto liberatorio… la grandezza dell’opera si fonda sulla straordinaria invenzione di un congegno narrativo costruito in teatrali sequenze di quadri esemplari e quasi propri di una sacra rappresentazione…” (Giorgio Bárberi Squarotti)
su In me la tua voce “… Libro ricco di lirismo e di profonde riflessioni sulle ragioni del vivere e del morire. Pagine intense, brani di memorie delicati e dolenti, narrati con una prosa scarna ed essenziale…, l’indagine interiore nel cuore di un uomo solo, che diventa anelito universale sospeso tra il nulla e l’eterno…” (Giuria del Premio Moncalieri)
su L’affresco: “… liberamente tratto dalla leggenda medievale di San Giuliano l’Ospitaliere e ambientato tra le sponde del lago di Lecco e le montagne delle Prealpi Lombarde, il romanzo ha il pregio di non seguire le cosiddette “strategie del momento”. Si distingue, inoltre, per l’uso di una scrittura matura, fluida ed elaborata senza cedimenti di stile, nonché per un intreccio narrativo agevole e nel contempo ardito, ricco di minuziose descrizioni e di una sua vivace fisionomia…” (Antonio Seracini)
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