Pier Franco Quaglieni è docente e saggista di storia contemporanea. Diventa giornalista nel 1968. Iniziò a scrivere i primi articoli quando era al Ginnasio e da allora ha sempre continuato a scrivere.
Attualmente vive tra Torino e la Liguria in una cittadina che ama molto e da cui è molto amato. La scelta del mare non è quindi solo climatica, ma la scoperta di una dimensione ‘provinciale’ che alterna a quella della grande città. Ormai da molti anni gira l’Italia per cicli di conferenze e lezioni invitato da istituzioni culturali, Università e scuole, enti locali.
Il suo nome è anche legato all’insegnamento nello storico Liceo Classico “Massimo d’Azeglio” di Torino da cui, peraltro, è fuggito, appena ha potuto, perché insofferente del pensiero unico allora quasi egemone in quel prestigioso liceo. È Presidente fondatore ed è Direttore generale del Centro di Studi e Ricerche “Mario Pannunzio” di Torino dal 1968, da lui fondato, ventenne, insieme ad Arrigo Olivetti e Mario Soldati. È succeduto ad Arrigo Olivetti, Mario Bonfantini, Edoardo Ruffini, Mario Soldati ed Alda Croce che sono stati presidenti del Centro ‘Pannunzio’ prima di lui. Laureato in Lettere all’Università di Torino, è stato allievo di Aldo Garosci e di Franco Venturi.
Collaboratore di importanti riviste tra cui La Nuova Antologia di Giovanni Spadolini e Nord e Sud di Francesco Compagna, scrive per lunghi anni prima sul quotidiano La Gazzetta del Popolo e poi su Stampa Sera, La Stampa e altri quotidiani.
Dal 1970 al 1975 è stato Vice Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo.
È Componente del Comitato Scientifico della Fondazione “Filippo Burzio” e Vice Presidente della “International Federation of free culture” di Londra.
Ha fondato nel 1967 il gruppo studentesco “Riforma Democratica Universitaria” che si è battuto contro la nascente contestazione nell’ambito dell’Università di Torino.
Ha collaborato intensamente con l’U.S.I.S. e con il Consolato U.S.A. di Torino negli Anni ’70 e ’80, ospitando ed organizzando incontri con personalità della cultura nord-americana in tempi nei quali in Italia imperversavano le BR e il Consolato era meta di continui cortei e sit-in antiamericani.
Il Sindaco di Torino nel 1984 lo ha insignito del Sigillo d’Argento di benemerito della Città di Torino. Nel 1998 il Sindaco di Torino gli conferisce una targa di benemerenza per la sua attività di organizzatore e promotore di cultura. Nel 2008 il Presidente del Consiglio Regionale del Piemonte gli conferisce una targa di benemerenza per i quarant’anni di direzione e di presidenza del Centro ‘Pannunzio’. Il Sindaco di Alassio nel 2007 gli conferisce l’Alassino d’oro, massimo riconoscimento della Città. Nel 2003 il Rettore dello storico Convitto Cicognini di Prato gli conferisce il titolo diEducatore Onorario. Nel 2002 i Licei Pantaleo e Giovanni Gentile di Castelvetrano gli conferiscono una targa in cui lo si definisce Vir bonus dicendi peritus.
È presidente della Giuria dei premi letterari Mario Soldati e Mario Pannunzio.
Presidente della Deputazione Subalpina per la salvaguardia di Venezia.
Ha vinto, tra gli altri, i Premi giornalistici Venezia, Salvemini, Arrigo Benedetti, Ernesto Rossi, Lucca, Prezzolini ed i Premi internazionali di cultura Voltaire, Tocqueville, Benda. È stato inoltre insignito del premio Einaudi scuola e Cavour-Italia. Nel 2008 ha ottenuto il Leon d’oro alla carriera per i suoi quarant’anni di giornalismo.
Autore di importanti pubblicazioni storiche tra cui Figure del Piemonte laico, Pannunzio ed il Mondo, Gozzano e il suo tempo, La Destra storica, Cavour e l’Europa, Giolitti e la sua età, Giolitti nella storiografia crociana, Cavour e Giolitti, Einaudi e Giolitti, Romeo storico di Cavour, Gobetti, Omodeo e il Risorgimento. È stato tra i primi studiosi in Italia ad occuparsi di temi scottanti come quelli delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Ha contribuito altresì a rivalutare il ruolo dell’Esercito regolare nella guerra di Liberazione e la Resistenza non comunista. Ha collaborato per la storia delle dottrine politiche e la storia contemporanea al Grande Dizionario Enciclopedico UTET. È stato Direttore della Collana Quaderni laici.
Per la Storia di Torino diretta da Valerio Castronovo ha scritto un importante saggio sulla storia delle istituzioni culturali subalpine. Curatore di alcune edizioni delle opere di Benedetto Croce, è autore anche di saggi sulla letteratura latina e di una traduzione del liber catulliano. Ha curato la pubblicazione del Carteggio Croce-Pannunzio su invito di Alda Croce figlia del filosofo.
È inoltre autore di pubblicazioni storiche edite dalla Città di Torino tra cui il volume Memorie di pietra e Le nostre radici. Coautore della Storia del Parlamento italiano in venti volumi.
È stato insignito dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga – motu proprio – della onorificenza di Grande Ufficiale al merito della Repubblica nel 1991 e nel 1999 dal Presidente Scalfaro – sempre motu proprio – di quella di Cavaliere di Gran Croce, massima onorificenza dello Stato.
Ha promosso importanti mostre storiche (Cavour) e storico-artistiche (I disegni di Leonardo alla Biblioteca Reale di Torino, Visti da Chicco, Il graffio di Gec, Torino liberty, I luoghi pavesiani, Dal “Risorgimento liberale” al “Mondo”, Il Mondo di Maccari, ecc.).
È stato insignito dal Presidente della Repubblica Scalfaro della Medaglia d’Oro di Benemerito della Scuola della cultura e dell’arte all’età di 46 anni, dopo che nel 1978 il Centro ‘Pannunzio’ ricevette lo stesso prestigioso riconoscimento, ad appena dieci anni dalla sua fondazione con decreto del Presidente Sandro Pertini.
È stato direttore del giornale Scuola Nuova, Segretario Nazionale e poi Presidente della Federazione Italiana Docenti F.I.D.
Nel 1998 la Fondazione “Popper” di Vienna ha promosso la pubblicazione di un libro su di lui e la sua attività scientifica e culturale dal titolo Professore di Libertà: oltre cento testimonianze di particolare significato ed autorevolezza.
Nel 2009 è uscito per le edizioni di Genesi un suo volume su Mario Pannunzio dal titolo emblematico: Liberali puri e duri – Pannunzio e la sua eredità in cui raccoglie molti suoi saggi ed articoli con testimonianze, tra gli altri, di Soldati, Spadolini, Laurenzi, Valiani, Montanelli, Man, Pera, Bettiza, Conso e Mathieu. Un’opera importante che ha fatto discutere perché Quaglieni dimostra in termini storici il profondo liberalismo pannunziano rispetto alle interpretazioni tramandate da una certa vulgata, volte a ridurre Pannunzio ad una icona dell’antifascismo laicista.
È considerato il massimo studioso di Mario Pannunzio e del “Mondo”, il settimanale fondato e diretto per 18 anni da Pannunzio.
In occasione del centenario della nascita di Pannunzio ha curato Mario Pannunzio. Da Longanesi al “Mondo”. Nel giugno 2010, avendo proposto la costituzione di un Comitato Nazionale per le onoranze a Mario Pannunzio per il centenario della sua nascita, ha rinunciato al contributo ministeriale stanziato con una lettera al Ministro dei Beni culturali in cui, considerando i tempi difficili che si profilavano per l’economia italiana, sostenne che il Centro “Pannunzio” avrebbe sostenuto con i suoi soli mezzi le manifestazioni promosse in tutta Italia. Nel 2010 ha girato città e grandi e piccole per commemorare Pannunzio in convegni e conferenze. È stato il promotore del francobollo emesso da Poste Italiane in 4 milioni di copie per onorare Pannunzio per il centenario della nascita e scrive sul bollettino ufficiale dell’emissione del francobollo un profilo storico di Pannunzio.
Nello stesso 2010 accetta invece di far parte del Comitato Nazionale per il centenario della nascita del Conte di Cavour presso il Mibac, ritenendo che per l’artefice dell’unità d’Italia fosse indispensabile che lo Stato italiano lo onorasse adeguatamente.
Nel 2010 pubblica Pannunzio e la sua eredità, vincendo un bando della Regione Piemonte. Il volume è stato diffuso gratuitamente a tutte le scuole e biblioteche del Piemonte, della Liguria e delle principali Biblioteche italiane.
Nel 2011 è protagonista di centinaia di incontri per il 150° dell’Unità d’Italia a cui viene invitato come relatore e conferenziere.
Nel 2013 cura la riedizione per “Libro aperto” delle “Memorie di Marcello Soleri”, scrivendo un’ampia introduzione storica sul ministro liberale piemontese che fu l’erede di Giovanni Giolitti. Inoltre, in occasione dei 45 anni del Centro “Pannunzio” promuove e partecipa in prima persona alle manifestazioni per questo anniversario che viene festeggiato in tutta Italia in quanto gradualmente il Centro Pannunzio da associazione preminentemente piemontese diventa una realtà nazionale con Sezioni che operano in molte città.
Il 21 maggio 2013 viene festeggiato nella Sala Rossa del Consiglio Comunale di Torino dal Sindaco Fassino con una cerimonia a lui dedicata al termine della quale il Sindaco gli conferisce un riconoscimento a nome dell’intera Città.
Il 3 giugno un’analoga manifestazione viene promossa dal Consiglio Regionale del Piemonte nell’Aula dell’Assemblea legislativa e in quella occasione gli viene offerto un libro con 120 testimonianze sulla sua attività di studioso e animatore del Centro Pannunzio dal titolo emblematico Il Centro Pannunzio e un maestro di libera cultura con prefazione di Piero Ostellino.
Il libro è stato presentato in molte città italiane, in concomitanza con i festeggiamenti per i 45 anni del Centro.
Amante della buona tavola e della convivialità come il suo amico Mario Soldati, ha fondato il Premio di Alta Gastronomia Mario Soldati inteso a ricordare lo scrittore-regista anche come gastronomo e conoscitore di vini. Nella sua terrazza sul mare della Baia del Sole ama invitare gli amici per lunghe cene in cui “si ride, si scherza, si sta sul serio”, come scrisse il Verri parlando del Caffè settecentesco. I discorsi si prolungano per ore, riprendendo la tradizione di Pannunzio che si trovava con i suoi amici in via Veneto, quando si passava da una battuta salace di Mino Maccari o di Ennio Flaiano, alle più serie discussioni sull’ultimo libro uscito, sulla politica estera o su Proust.
È dal 2010 Accademico Onorario dell’Accademia della cucina italiana, istituzione della Repubblica Italiana.
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DEGNO CUSTODE DELLA TRADIZIONE LIBERALE
Conosco Pier Franco Quaglieni solo da qualche anno ma quando penso al nostro primo incontro, mi viene in mente una battuta attribuita a Sigmund Freud: «Attenti alla prima impressione! È quella giusta». Quaglieni mi apparve una figura d’altri tempi, di tempi civili la cui la passione etico-politica – che, Deo gratias, in Italia non demorde mai – si univa ad un naturale rispetto della dignità di tutti gli uomini e a una grande attenzione alle loro opinioni, anche se discordanti dalle proprie. Un autentico liberale torinese, insomma, quali nella gloriosa città sabauda, fucina del Risorgimento nazionale, se ne incontrano sempre di meno dopo le devastazioni ideologiche di quello che ebbi a definire, tempo fa, il ‘gramsciazionismo’, un combinato disposto di moralismo azionista e di giustizialismo sociale, che avrebbe trovavo nel Ferruccio Parri di “Astrolabio” la sua espressione più compiuta. Nulla in Quaglieni dell’intolleranza di Alessandro Galante Garrone, che quasi si ammalò per il ritorno di un Savoia in Italia; nulla della faziosità di tanti storici e filosofi dell’Ateneo torinese da me conosciuti; nulla, soprattutto, di quell’antiberlusconismo teologico che ormai, sotto i portici di Via Po, è diventato una seconda natura per quanti fanno cultura.
Cavouriano doc, Quaglieni è il degno custode di una tradizione liberale che ebbe nelle opere di Francesco Ruffini, di Benedetto Croce, nel giornalismo colto e impegnato dì Mario Pannunzio, i suoi momenti più alti. A differenza di altri sedicenti laici e liberali, non ha mai tentato di ‘forzare i testi’, di mettere in ombra taluni aspetti della lectio dei suoi nobili ‘antenati’ per strumentalizzare il (molto) rimanente a fini di bottega politica. Certo è innegabile la sua maggiore vicinanza ideale al Pannunzio di “Risorgimento liberale” rispetto al Pannunzio de “Il Mondo” ma è altrettanto innegabile, nelle riviste che egli ha animato, nelle iniziative culturali da lui promosse al Centro “Pannunzio”, un’attenzione a tutto l’ambiente che attorno al “Mondo” si muoveva. Se non ci fossero studiosi come Pier Franco Quaglieni, forse pochi ricorderebbero – e onorerebbero come dovere di eredi non degeneri – il non conformismo liberale del Novecento, da Panfilo Gentile a Ennio Flaiano, da Filippo Burzio a Mario Vinciguerra, da Giuseppe Maranini a Guglielmo Ferrero, da Vittorio de Caprariis a Carlo Antoni, per limitarci a questi nomi. Come il suo grande corregionale, l’indimenticabile filosofo Francesco Barone – un autentico cattolico liberale, una splendida figura di uomo e di pensatore – Quaglieni non ha una concezione aristocratica del sapere ma è convinto che, per il produttore di conoscenze, la divulgazione scientifica (l’alta divulgazione scientifica) sia un dovere civico. Per questo lo si trova sempre disponibile quando gli si propongono incontri su libri o su scrittori che onorano, o hanno onorato, le patrie lettere.
Dino Cofrancesco
ARTEFICE DI VITA CULTURALE E MORALE
Ho conosciuto Pier Franco Quaglieni come mio allievo all’Università anche se già l’avevo conosciuto ed apprezzato – presentatomi da Arrigo Olivetti nella sua bella ed ospitale casa di Ivrea – come direttore del Centro “Pannunzio”. Come allievo lo ricordo per la sua fervida intelligenza, la sua cultura e il suo vivo interesse verso la disciplina da me insegnata.
Gli proposi di fare la tesi con me perché avrei sperato di averlo mio assistente.
Quaglieni scelse diversamente e mi dispiacque molto.
Molti anni dopo venni eletto Vice-presidente del Centro “Pannunzio” e il nostro rapporto riprese in modo continuativo: in una parola divenimmo amici.
Quaglieni è, della sua generazione, forse, l’unico, autentico organizzatore di cultura che, con voce nuova, con iniziative originali, con interventi coraggiosi e con totale disinteresse, abbia saputo davvero incidere nella realtà culturale. Nella mia giovinezza conobbi, simile a lui, Piero Gobetti, anche lui artefice di vita morale e culturale come oggi Quaglieni.
Alessandro Passerin d’Entrèves
PIER FRANCO QUAGLIENI: UN PROFESSORE INATTUALE
Quella che segue è una breve testimonianza personale, accompagnata da una considerazione altrettanto personale. La testimonianza è sincera, la considerazione mi sembra vera.
Comincio da questa. Pier Franco Quaglieni è stato definito “professore di libertà”. Lo era quando insegnava al d’Azeglio di Torino, che lasciò perché assai poco in sintonia con il clima culturale di sinistra radicale che negli anni Sessanta penetrò anche quella scuola prestigiosa. Lo era quando promuoveva incontri e dibattiti con studiosi e personalità americane nella stagione del terrorismo. Lo era quando si occupava di storia risorgimentale in periodi in cui essa era una disciplina accademica coltivata solo da pochi specialisti accerchiati da una storiografia con opinioni ben diverse dalle sue sull’Italia, la sua unificazione, i suoi protagonisti delle origini. Direi che, professore di libertà, Quaglieni lo è sempre stato, in tutta la sua enorme attività di docente, studioso, saggista, giornalista, promotore e organizzatore di cultura. Può esserne fiero.
Purtroppo, temo che non possa esserne del tutto soddisfatto. Non perché i suoi libri non siano stati accolti, i suoi saggi discussi, i suoi tanti premi meritati, la sua figura apprezzata. Il punto è che la libertà di cui ha sempre parlato Quaglieni – quella dei suoi maestri: Cavour, Giolitti, Croce, Einaudi, e soprattutto Mario Pannunzio – quasi mai è stata la libertà che ha avuto corso in Italia. Vuoi perché, come al tempo dell’egemonia marxista, non era considerata “vera”, ma solo formale. Vuoi perché, come al tempo del Sessantotto, non era considerata autentica, ma “di classe” o “borghese”. Vuoi perché, come oggi, quella libertà è ancora ritenuta in gran sospetto.
Insomma, insegnando la libertà, credo che Pier Franco Quaglieni si sia quasi sempre trovato nella condizione di domandarsi se l’oggetto del suo insegnamento fosse un concetto autentico o spurio, fertile o arido, utile e da coltivare, oppure inadeguato e da cambiare, se non da abbandonare. Destino certamente paradossale: si può fare la storia e la filosofia di qualcosa che forse non esiste? Ma destino che tocca alle menti motivate e determinate da un forte ideale, quelle che non si arrendono a coltivare la cultura giusta, vellicare le persone giuste, dire le cose giuste, al momento giusto, per le ragioni giuste. Insomma, le menti che, viste da quelli che sono “giusti”, sembra che guardino all’indietro. Come quelli del “Mondo”. O come Francesco Barone, che lui ha molto apprezzato e voluto al “Pannunzio”, e io molto amato.
Non intendo con ciò dire che Quaglieni sia stato isolato o emarginato o negletto. Insignito di premi e onorificenze da parte di presidenti della Repubblica, di comitati di studiosi, di autorità nazionali e locali, Quaglieni è figura conosciuta, riconosciuta e apprezzata. Intendo piuttosto dire che è figura inattuale, nel senso di essere fuori dallo spirito del tempo. Un titolo di merito, senza dubbio, e meritato, perché lo spirito del tempo – dei tanti tempi che si sono succeduti in Italia – Quaglieni lo ha più spesso combattuto che invocato. Non per capriccio né per anticonformismo, ma per quel rigore intellettuale e morale che segna un uomo e uno studioso libero e liberale, convinto delle proprie idee e non incline a commerciarle.
Se la considerazione è giusta, allora la mia testimonianza è pertinente. Ho avuto il piacere di entrare in amicizia con Quaglieni negli ultimi anni, quando la sua personalità era completamente formata. E ho avuto la possibilità di osservare quanto essa, benché ben radicata nei suoi studi e nel suo carattere, rispondesse a quell’idea di libertà, aperta e disponibile, per la quale avevo da prima apprezzato i suoi lavori. Quando anche in Italia l’occasione si è presentata per discutere di nuovo di laicità e fede religiosa – un tema che si sa quanto animasse Mario Pannunzio – Quaglieni non si è chiuso in una fortezza che per lui sarebbe stata agevole. Non ha ripreso vecchi stereotipi contro i “collitorti”, non ha confuso l’anticlericalismo con l’anticristianesimo, non si è lasciato trascinare dal laicismo, che, in Italia come altrove, è l’ultima idea giusta, degli intellettuali giusti. No, Quaglieni ha risposto assai diversamente, con discrezione ma con attenzione. Egli ha compreso che il nuovo tema non rientrava nelle otri vecchie. E soprattutto ha compreso la posta in gioco. Il problema non è se essere credenti, piuttosto il problema è se essere laici significhi avere un insieme di principi – a cominciare da quello della libertà – a cui la fede del credente dà un contributo sostanziale. Si che il problema è se si possa salvare la nostra cultura e, più ancora, la nostra civiltà, senza sacrificare, anzi valorizzandola, l’eredità spirituale della tradizione cristiana.
Pier Franco Quaglieni non si è sottratto al dibattito neppure questa volta, su una questione che, oltre che la sua cultura, interroga la sua privata, intima coscienza. Purtroppo, a me sembra, è un professore manuale anche in questo caso. Quest’Italia di oggi, dei diritti senza doveri, dei doveri senza responsabilità, della responsabilità senza esercizio, va in un’altra direzione. Trasforma la laicità, che è una conquista dello spirito di libertà, in laicismo, che è una rovina dell’ideologia illiberale, e considera il messaggio religioso con diffidenza, supponenza e talvolta con ostilità.
Siccome Pier Franco ama la cucina, c’incontreremo a una buona tavola. Per continuare anche questa conversazione fra amici.
Marcello Pera
TUTTA UNA VITA DEDICATA A PANNUNZIO
Pannunzio ha avuto molti amici, allievi ed eredi.
Ma, com’è inevitabile, sono più lontani da lui; lo sono per età, e anche per il peccato originale più grave verso Pannunzio: l’indifferenza. Che si traduce in inerzia. Così, nonostante la loro contiguità (i più vicini, al tempo giovani, hanno 80 anni), io non avrei mai sentito parlare di lui se non fosse stato per Quaglieni.
Di Pannunzio avrebbero potuto parlarci, invece di perdere tempo in demonizzazioni di Andreotti o Berlusconi, Eugenio Scalfari, Marco Pannella, Nello Ajello; ma erano troppo concentrati a costruire il loro fragile monumento dimenticando le fondamenta su cui avrebbero dovuto poggiare. Quaglieni, invece, per cultura e per riconoscenza, ha trascorso tutta la vita ad erigere il monumento a Pannunzio. E a noi più giovani, che non lo avevamo conosciuto e l’avevamo incrociato soltanto per sospetto o per curiosità, ha rammentato – in Piemonte quotidianamente e in Italia con iniziative a ritmo continuo – il nome e il magistero di Pannunzio; la sua religione della libertà. E perché Pannunzio fosse al centro della nostra attenzione, ha inventato il Centro “Pannunzio”, che ogni anno promuove a Torino commemorazioni e discussioni intorno a testi pannunziani al Salone del Libro. La prospettiva di Quaglieni è chiara perché viene dal mare: da Bordighera o da una ventosa torre di Albenga.
i quelle che, anche con me, ha contribuito a salvare dalla scelleratezza degli ignoranti, che avrebbero contaminato quella bella città, come contaminano il luminoso pensiero di Pannunzio.
Vittorio Sgarbi
INCURANTE DEL PROPRIO INTERESSE PARTICOLARE
Ho conosciuto Pier Franco Quaglieni qualche anno fa proprio al Centro “Pannunzio”.
Ci siamo ritrovati dapprima a chiacchierare del più e del meno (forse ci stavamo studiando a vicenda) e poi a parlare seriamente e a cuore aperto per un intero pomeriggio, il primo felice incontro di altri che si sono poi succeduti nel tempo. Sapevo bene chi era e conoscevo il suo valore di storico, saggista, docente, di uomo di una cultura liberale simbolo di apertura mentale e tolleranza, tutte qualità che anche mio padre gli riconosceva e di cui mi aveva parlato più volte.
Tuttavia non lo conoscevo ancora di persona e dal punto di vista umano è stata un’ulteriore bella esperienza, rara di questi tempi.
Ho trovato una persona che alla competenza unisce schiettezza, acutezza, ironia, una persona colta che ama la verità, la ricerca e la sostiene senza timori né condiscendenze verso alcuno.
Anzi, con una certa sana ruvidezza e vis polemica verso i cosiddetti potenti di ieri e di oggi, una persona dotata di una memoria di tutto rispetto, direi implacabile, incurante del proprio interesse particolare e … assai giovane nell’entusiasmo indomito speso per incoraggiare tutto quanto possa contrastare la caduta libera dei valori nella nostra società.
Anche la sua dedizione al Centro “Pannunzio” è encomiabile, i soci di ieri e di oggi gli devono molto. E anche quelli di domani non potranno che apprezzarne lo spirito di servizio e l’attivismo instancabile.
Personalmente gli sono grata per il ricordo di mio padre che ha organizzato presso il Centro e per la Sala che gli ha voluto dedicare.
Al di là di tutto, mi sono trovata molto in sintonia con lui, mi sono sentita sempre spontaneamente a mio agio, libera di esprimermi con uno spirito libero per definizione. Considero un onore l’essergli persona vicina e amica.
Lorenza Pininfarina
ALFIERE LIBERO E CORAGGIOSO
È stato detto che fu Arrigo Benedetti nel 1969, riprendendo in modo effimero le pubblicazioni de “Il Mondo”, a continuare l’eredità di Mario Pannunzio.
In effetti il vero continuatore de “Il Mondo” è stato ed è il Centro “Pannunzio” alla cui guida c’è Pier Franco Quaglieni. Quaglieni, superando mille difficoltà e diffuse ostilità, ha saputo tenere alta la bandiera de “Il Mondo” e saldo il timone del Centro, con orgoglio, con dignità, con coerenza.
Questo è il suo merito più grande. Il Centro “Pannunzio” è una tradizione che vive, una voce che conta, una associazione che cresce e Quaglieni ne è l’alfiere coraggioso e libero.
Ignazio Silone
LA LAICITÀ LIBERALE
Fin dal 1984 Quaglieni si è occupato del tema della laicità, pubblicando nel 1987 convocato – Figure del Piemonte Laico, opera nella quale analizza, tra l’altro, il pensiero di Francesco Ruffini, teorico della libertà religiosa sul quale Quaglieni è ritornato a scrivere e parlare in più occasioni. Nella terza edizione del Dizionario di Filosofia di Nicola Abbagnano (1998) Quaglieni viene citato insieme a Calogero, Bobbio, Passerin d’Entrèves e altri, come uno dei riferimenti del pensiero laico del secondo Novecento.
La tesi che Quaglieni sostiene è quella di una “concezione laica” che rifiuta il laicismo, inteso come giacobinismo, miscredenza, rifiuto aprioristico di ogni fede religiosa,vedendo nella laicità una disposizione al confronto delle idee, nella dimensione, più che della tolleranza, del pieno rispetto per tutte le fedi e le convinzioni filosofiche. Nel contempo egli afferma, la difesa della laicità dello Stato perché solo lo Stato laico garantisce le libertà dei cittadini, in primis, quella di coscienza. Per lui la laicità non è solo un problema di atteggiamento nei confronti delle religioni, ma anche nei confronti delle Ideologie in quanto esiste un dogmatismo ideologico che rappresenta una minaccia alla libertà spesse volte più grave del fondamentalismo religioso, come dimostra la storia italiana degli Anni Settanta. Inoltre egli afferma che essere laici non è incompatibile con l’essere credenti, riprendendo e sviluppando una posizione che si deve a livello politico a Marco Pannella, ma a livello culturale a Passerin d’Entrèves. Lo stesso Bobbio ha distinto in modo netto la laicità dal laicismo e Quaglieni si è spesso rifatto anche al pensiero del filosofo torinese.
In sintesi, egli si richiama al cavouriano “Libera Chiesa in libero Stato”, ripreso dal comma I dell’art. 7 della Costituzione, ma va decisamente oltre l’orizzonte limitato dei rapporti tra Stato e Chiesa e persino del rapporto tra Stato e diverse confessioni religiose. Egli è il teorico di una laicità liberale che vede la diversità delle idee come una ricchezza,una crescita intellettuale collettiva e individuale per tutti. Per lui i punti di arrivo sono, infatti, sempre punti di partenza e la diversità delle idee e la loro discordanza può solo far crescere le diverse culture e il loro livello complessivo. Per Quaglieni, anzi, la cultura, ad un certo livello, non ha neppure coloriture politiche o religiose, ma è solo e soltanto cultura. Nella sua visione non ci sono mai certezze inossidabili e indiscutibili, ma semmai c’è un esplicito desiderio di lasciarsi sedurre dalle posizioni altrui. Mario Pannunzio, che fu sempre molto fermo su alcuni principi, ma fu sempre un uomo di cultura aperto alle ragioni degli altri, animato da una inesauribile curiosità intellettuale.
Nel 2011 Quaglieni ha scritto la voce “Laicità” per il Dizionario del Liberalismo curato da Fabio Grassi Orsini e Gerardo Nicolosi in cui riprende, rielabora e approfondisce le tesi enunciate in precedenza, soffermandosi anche sul tema, del tutto inedito, del rapporto tra la laicità e la cultura del mondo islamico. Il suo è un saggio che rappresenta, se non un punto di arrivo (la ricerca per i laici non ha mai fine), sicuramente una riflessione importante con cui ci si deve confrontare.
Quale differenza di idee e di stile di fronte a certo stantìo, sopravvissuto e patetico laicismo, che fa ancora oggi del vieto anticlericalismo la base di ogni discorso, un anticlericalismo di fronte al quale persino quello di Podrecca si potrebbe considerare, come ha scritto recentemente Dino Cofrancesco, intellettualmente raffinato.
Teresa Zutti Francisci
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