Luciano Pellegrino è un autodidatta, che ha condotto fino a ora la sua vita orientandosi su un’unica Stella Polare, ma dalla doppia valenza, cioè la famiglia e il lavoro. La famiglia di Luciano, oltre ai genitori e ai fratelli e alla sorella, è rappresentata dalla moglie, amata e idealizzata più di quanto Dante fece di Beatrice. Accanto alla moglie, c’è la figlia, il genero e il nipote. Luciano si orienta verso questi astri celesti del suo cuore come i naviganti si orientano, nella solitudine del mare, verso la stella polare, sicuri che solo agendo così essi raggiungeranno le mete anche più ambiziose del loro viaggio. Tuttavia, accanto alla famiglia, ciò che ha sempre funzionato da regolatore del suo tempo, per Luciano, è stato il lavoro. Un lavoro faticoso, crudo, necessario. Un lavoro decisamente maschio, che Luciano ha sempre svolto con indefessa operosità e con la puntigliosa volontà di impegnarsi al meglio per apparire, ai suoi stessi occhi di giudice esigente verso stesso, onesto e capace. Luciano per sessant’anni ha fatto il macellaio. Per sessant’anni ha impugnato e ha adoprato la mannaia, con cui dava la morte e con cui distribuiva la vita: macellava gli animali e confezionava le dosi per le massaie che nel suo negozio facevano la coda per farsi servire dalle sue esperte mani. La mannaia gli è rimasta come lo strumento che dà la morte e che garantisce la vita. Ma quante volte, nella sua esistenza, Luciano ha assistito allo spettacolo di mani inesperte – o di mani assassine! – che hanno dato la morte a chi non se lo meritava e che hanno spento la vita a chi si meritava di vivere.
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