Dora Mauro implicitamente risale a Charles Baudelaire che ha reso celebre il vocabolo francese flâneur per indicare il gentiluomo d’altri tempi che vaga con ozio e con esercitato spirito d’attenzione per le vie della città, senza mai lasciarsi prendere dalla fretta delle faccende quotidiane, ma al contrario sperimenta una vivida emozione nell’osservare le cose e le persone che incontra per la strada, come se assistesse da spettatore a un varietà, che vada gustato con buona creanza e con sincero apprezzamento, per la gioia degli occhi e della mente. Tuttavia, la scrittrice calabro-occitana amplia di molto la nozione tutto sommato metropolitana del bighellone descritto da Baudelaire – il termine italiano non rende giustizia alla ricchezza lessicale dell’espressione francese. Per Dora Mauro la nozione di “passeggiare nel mondo” vale sia nello spazio fisico sia in quello temporale, per cui il nostro “gentiluomo” – che nel frattempo ha cessato di essere un ricco borghese nulla facente, ed è divenuto un insegnante piccolo borghese – si sposta negli anni con la stessa mobilità con cui percorre luoghi diversi. Luca viaggia dall’infanzia alla vecchiaia, passa attraverso la moglie, l’amante, la separazione, il divorzio; attraversa campagne e marine, città e piccoli borghi, conosce e osserva tante persone, volti di amici, di familiari, uomini e donne, ma anche persone anonime, scritte sui muri, insegne delle botteghe, trattorie ospitali e altre trasandate. Si snoda un percorso che è come l’orbita del Sole, cioè la curva descritta negli sterminati spazi del mondo, in un infinito vagando. Nel caso della Scrittrice, più che all’Infinito leopardiano, l’allusione è appoggiata all’Indefinito esistenzialista: si osserva ciò che c’è, senza stare a pensare agli “interminati spazi”, “sovrumani silenzi” e alla “profondissima quiete”, che si collocano oltre l’ermo colle e oltre la siepe. Si guarda, invece, tutto ciò che c’è da guardare, con partecipazione, con emozione, anche con ironia e con accettazione. Il libro Vagando, prima ancora di essere un taccuino di remembrances, è un galateo della memoria, è un lascito di saggezza e di accettazione della follia della vita che tutti noi avvolge nella spirale dei flussi e riflussi che ci fanno vagare all’interno dell’orbita prescritta.

Sandro Gros-Pietro

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