10,00 €
Autore: Fernando Maina
Editore: Genesi Editrice
Formato: libro
Collana: Le Scommesse, 407
Pagine: 64
Pubblicazione: 2014
ISBN/EAN: 9788874144594
Esaurito
Memorabile viaggio nello spazio
Prefazione
La bambina che va sotto gli alberi di Camillo Sbarbaro è scelta da Fernando Maina come riferimento da porre in esergo al suo libro di poesie Tra foglie e fogli, e di quella poesia luminosa e accorata viene scelta, quasi in chiave di motto destinale, la seconda parte carica di arresa nostalgia e di patimento, in cui il Poeta dei licheni si lamenta di avere perso la gioia di vivere e di rimanergli come unico conforto la sola poesia, A noi che non abbiamo / altra felicità che di parole. In Maina la poesia trasmette, in effetti, l’identico conforto resurrezionale che produce in Sbarbaro, ma nel Poeta dei rabeschi della galaverna si assiste, tuttavia, quasi al trionfo di una serenità interiore e di una conciliazione profonda con la stagione più matura della vita che è un fatto non condiviso da Sbarbaro, il quale appare profondamente e irrimediabilmente immalinconito nel confronto delle due età, quella primaverile della fanciulla la cui più grande ricchezza è la treccia bionda e quella senile del poeta cui non restano altro che le parole da lui usate per comporre versi. L’accostamento è voluto da Maina per mettere bene a fuoco, già dalla citazione fuori d’opera, due punti fondamentali della sua ricerca poetica: il piacere della poesia e la fede nello sbocco ultraterreno della vita. Il piacere della poesia, per Maina, rientra nel novero delle gioie mondane, cioè rappresenta un diletto destinato a essere abbandonato all’atto di salire i più alti gradini della scala che punta verso il cielo. La poesia rimane sulla Terra, e si lascia rodere dal tempo in un’accezione relativa di eternità, aere perennius, per dirla con Orazio, capace, sì, di perdurare più del bronzo, ma comunque appare “eterna fin che dura”. L’anima, invece, al sommo della scala verso il cielo, s’invola in un viaggio di gioiose corrispondenze e di dilettosi richiami che sottostà a un criterio legislativo che non ha più nulla di umano, anzi, non è assolutamente né comprensibile né riconducibile alla logica umana, anche se è possibile intuirne i segnali di presenza, Se dal di là / qualcuno ci ama, / se dal di là / qualcuno ci chiama, / segno è / che pur nell’aldilà / la vita ha una sua trama. Ecco, dunque, come in Maina la “felicità delle parole” – superba metafora sbarbariana per definire la Poesia e il suo valore eudemonico – diviene, alla fine della nota scala di Montale rivolta verso il cielo, felicità dell’esistenza e contemplazione dell’eternità. Maina è un uomo di fede. Dirò di più: egli è un uomo religioso, capace di applicarsi nelle vicende anche spicciole della vita con l’atteggiamento di stupore ammirativo per la bellezza della creazione e per la sacralità delle creature, nel rispetto e addirittura nell’adorazione della tenera fonte da cui la vita sgorga. Tutta la sua poesia è riverberata da questo sentimento di amorevole incanto metafisico, Amo la via, / la verità / e la vita: / amo Te, Gesù Cristo, sopra / ogni altra / cosa. Non è, tuttavia, una religiosità coltivata nella munificenza liturgica dei riti pubblici, con quello stesso contrasto di valori che Gesù sottolineò nella parabola del fariseo e del pubblicano, il primo che si esalta e che verrà umiliato, il secondo che si umilia e che verrà esaltato, come bene argomenta Maina nella poesia Perdonami, o Signore, / se non frequento il cuore / del Tuo messaggio. / Prego da solo, / non seguo lo stuolo / dei Tuoi fedeli / né il miraggio / che un corpo in assemblea può carpire. Il poeta vive immerso nella condizione di divinità del creato, che non è confinata nel buio dei templi e delle chiese, ma che è invece squadernata per tutto l’universo, al punto che bene può affermare, E, se dagli occhi mi tolgo le bende, / vedo che ovunque il grande vero splende, versi perfetti che non possono non richiamare alla mente quelli celeberrimi di Pietro Metastasio, Ovunque il guardo io giro / immenso Dio ti vedo, / nell’opre Tue ti ammiro, / Ti riconosco in me. Per Maina, dunque, non c’è alcuna contrapposizione tra la materialità e la spiritualità, perché lo spirito si riconosce nella materia da cui esala come l’essenza profumata dei fiori si riconosce nel calice da cui promana. E il calice mondano da cui promana l’amore di Maina è sicuramente Lore, la compagna adorata e la madre dei loro figli, la sposa benedetta che lo assiste e lo ama con la castigata pazienza e la vibrante voluttà che solo le più grandi donne sanno conciliare e infondere nella vita casalinga e quotidiana, Sempre una stella cara mi accompagna, / sempre una stella amica mi è vicina. / Vedo la luce sua già di mattina, la serbo accesa dentro nel mio cuore. / Ditemi un po’ se non è questo Amore, / se non lo spirto della cara Lore / che a me si vota con gentile affetto. Tra foglie e fogli – felice endiadi analogica di assonanze semantiche fra la Natura e la Storia, in cui si compatta e si compendia l’intero libro – racchiude numerose composizioni liriche dedicate all’angelica fragilità dei fanciulli e fino dei neonati, come omaggio incantato reso alla vita da un venerabile nonno che non è mai riuscito a disincantarsi dall’ipnosi suscitata dall’infanzia, la quale si affaccia sul mondo con indifesa fiducia nel prossimo e con tenera ingenuità, tuttavia difesa dai genitori e dai nonni, che si realizzano nel coltivarne la crescita indipendente e sovrana, In te si esprime già la conoscenza, / ti fai capir per quello che tu vuoi, / e noi si aspetta che un bel dì dipoi, / tu dica i nomi di tutte le cose.
Il volume è scandito in due sezioni. La prima, eponima, dà il nome al libro stesso ed è composta da venti poesie, più o meno lunghe, con tematica incentrata sui due punti focali che abbiamo nominato – il piacere della poesia, altresì espresso dalla “felicità delle parole”, e la fede nello sbocco ultraterreno dell’esistenza – agita diversi spunti d’ispirazione, non solo quelli già citati in precedenza, ma anche il compiacimento della lettura, l’amore per i libri, lo scintillio delle parole che si rincorrono fra loro con spruzzi e sprazzi di rime baciate ovvero incatenate, qualche gioco verbale, quadri di vita familiare, qualche scena di devozione contadina, ma anche il marchio del dolore e della sofferenza, come in Letto di contenzione, la lotta disperata contro l’oscurità imperscrutabile del dolore e della malattia o addirittura il volto della morte incontrato per strada nelle sembianze di un conoscente già segnato da un male incurabile. La seconda parte si chiama Schegge e contiene sedici composizioni, che hanno tutte il dono della asciuttezza lapidaria dell’aforisma, cioè sono una condensazione di sapienza filosofica o in alternativa si tratta di una riflessione smagata sulla morale dei comportamenti umani e sul nostro destino di viaggiatori inconsci nell’azzardo della meta, sui quali splende in fronte la scelta prediletta di conforto e di confidenza coltivata dal Poeta, Oh, poesia, / recondito mio confessionale, / discrimine / tra bene e male, / impronta e soffio vitale.
Sandro Gros-Pietro
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