Premessa

Nel mio biennio ginnasiale al leggendario Liceo d’Azeglio (quello di Bobbio, Mila, Venturi, ma soprattutto di Cesare Pavese) scoppiò un piccolo scandalo: uno di quinta, un bel ragazzo, ma timidissimo, era solito far pervenire alla compagna di cui era innamorato, ma che era restia a corrispondergli, delle poesie d’amore a sua firma, in realtà scopiazzate da questo o quel poeta: finché una celebre ballatetta di Federico Garcia Lorca, nota anche ai più ignoranti (“E io che me la portai al fiume – credendo che fosse ragazza…”), non lo smascherò.
L’unico che prese scopertamente le sue difese fu un supplente (che ritrovai quattro anni dopo, come assistente nella mia facoltà di Lettere e Flosofia), il quale sostenne che il sentimento più difficile da comunicare è quello amoroso e che, al riguardo, l’esempio dei grandi poeti del passato, nei loro componimenti più felici, può essere molto istruttivo: “Certo – postillò – non bisogna attribuirseli…”.
Non sono mai riuscito a dimenticare quell’episodio, tra il patetico e il comico. Un anno fa, trovandomi a Parigi, lessi con crescente partecipazione una serie di interventi polemici sui grandi quotidiani, in cui si sottolineava, da destra come da sinistra, l’impoverimento del lessico dei giovani studenti francesi: il periodico più esigente, Le Monde, sosteneva vigorosamente che, in media, essi non posseggono più di cinquecento parole e che si trovano in grave imbarazzo a descrivere, per carenza di vocaboli, proprio i sentimenti: ambizione, amicizia, amore
Ancora più di recente analoghe polemiche si sono accese sulla stampa italiana. E un titolo mi è balenato nella mente, come talvolta accade, all’improvviso: Le parole per dirlo. Le parole dei nostri grandi poeti del passato per dire le nostre (piccole?) pene amorose d’oggi: ma anche le nostre speranze, le nostre conquiste, le nostre felicità… Sarò – come al solito – un inguaribile entusiasta, ma ho l’ingenuità di credere che questa piccola silloge possa dimostrarsi utile anche in ambito scolastico (penso, ovviamente, al liceo e al grande «transito» del sempre temibile esame di maturità), se un qualche insegnante d’ambo i sessi saprà servirsene con il doveroso “effetto di straniamento”.

Guido Davico Bonino

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