Premio I Murazzi per l’inedito 2015 (Dignità di stampa)
Motivazione di Giuria


La gioiosità agrodolce del verseggiare da flâneur incantato e confessionale, in chiave ironica e inquisitrice, istruisce un canto armonico eppure stridente nel libro di poesia intitolato La stirpe delle seggiole, dello scrittore e attore torinese Angelo Tronca, sui casi della vita e sulla vita per caso, nella conoscenza delle regole e dei limiti, ma anche senza l’imposizione delle prime e dei secondi, in modo da elevare un elogio conclusivo e shakespeariano alla bellezza del mondo e alla sua imperscrutabile complessità.

Prefazione

È celebre l’affermazione del gesuita Tommaso Ceva, poeta arcadico e valente matematico del Seicento, per il quale la poesia è un sogno fatto in presenza della ragione. Siamo abituati a pensare alla poesia come a un ragionamento analogico, cioè costruito per voli pindarici di associazioni mentali espresse per me­tafore, simboli, traslati e allegorie, sovente con il ricorso alla favola, se non addirittura all’orfismo, al surrealismo, più in generale alla fantasticheria che deforma la realtà, la dilata, la contraddice, la sovverte nei modi più incredibili: Angelo Tronca direbbe che ne fa “un tartarugo a zampette in aria”. Già il tartarugo, di per sé, è un animale che-non-c’è, ossia si tratta di un sovvertito, che, come dice il Poeta, se ne sta a zampette in aria, come lo sarebbero il gallino, il tigro, la pescecagna o il giraffo. In realtà, questi animali, che non hanno assolutamente una cittadinanza zoologica, han­no invece un pieno e valido diritto alla cittadinanza poe­tica: esistono in poesia, se interviene un poeta ad ingaggiarli in una parte scritta per loro. Così la poesia diviene dilatazione del mondo reale, perché affianca alla tartaruga anche il tartarugo, che non è il consorte deputato della prima (il quale si chiamerebbe tartaruga maschio), ma è invece il suo paredro poetico, cioè un animale che dilata il “mondo e il modo” di essere della tartaruga. La poesia di Angelo Tronca esprime questa possibilità di arricchimento: la dilatazione del mondo reale. Lo dilata in mo­do superlativo e magistrale. E alla fine della fiera, ci si ritrova poi sempre, dantescamente, ad ammirare le stelle, come accade alla formica Alfonso, la quale dopo interi evi di interminabile prigionia, salirà sull’ultima foglia dell’albero, e quando tutte le altre formiche, ri­maste prigioniere dei loro canoni comportamentali, sa­ranno ormai decedute, avvolte nelle bar­be bianche co­me improbabili bachi da seta: Alfonso ammirerà le stelle, perché, dice il Poeta, “si ritrovò per forza ad odorar le stelle”. Non c’è altro da fare, per chi riceve in dono la stupenda avventura di essere in vita, che “odorar le stelle”, parola di poeta. Dove “odorar” in luogo di “ado­rar” è una garbata riduzione in satira dell’estasi di­vina di Dante: si annusi, dunque, il profumo della divinità, assunta in cielo!
Il dato essenziale della poesia di Tronca è sicuramente il filo diretto con il mondo reale, con il quotidiano, con l’abitudine, con le prassi di vita. Tutt’altra cosa che le illuminazioni del poeta veggente con le suole di vento di Charleville! Qui, noi troviamo, invece, le gatte nel letto del poeta in pigiama, che si fa il caffè ogni mattina nella cucina di casa. Eppure questo mondo rea­le, abitudinario, addirittura monotono, come ci dice il poeta, è mondo mesmerico, perché è dilatato, deformato, ipnotizzato, da un magnetismo naturale che possiedono le cose e le persone, le quali acquistano un’anima e, attraverso la poesia, ci raccontano una storia enormemente più ricca, più abbondante, luminosa e possibilista della storia di tutti i giorni. Il Poeta ci mette lo zampino, anzi la penna: e il mondo si risveglia alla revêrie, alla fantasticheria più garbata e più geniale, sempre proposta in chiave di sorridente ironia, con un atteggiamento propositivo di allettante intrattenimento ludico. L’obiettivo del poeta, il significato per cui egli scrive versi, è quello di essere un novello Prometeo che reca doni “alla stirpe degli accasciati sulle sedie”, come si legge in Ode al caffè. Negli anni Settanta Cristina Campo nel suo libro Gli imperdonabili aveva definito la nostra epoca la “civiltà della perdita”, per sottolineare che anziché essere un prolungamento del decadentismo e cioè una deformazione dei valori tali da trasformarsi in una palude che diviene anche laboratorio di vita e atelier di sperimentazione, la nostra condizione attuale è quella del “buco nero”, cioè della scomparsa irreversibile dei contenuti densi e spessi della vita e dell’arte, nel senso che le grandi musiche, le grandi arti pittoriche, le grandi arti letterarie scompaiono totalmente dalla memoria del presente. Ne deriva che l’attualità è un discorso barbaro, cioè – come è nell’etimologia del vocabolo – è un balbettio di espressioni banali di musica sincopata, di pittura povera, di letteratura corsiva, perché non possiede più la memoria della grandezza e della profondità del passato. Angelo Tronca ritorce in comicità garbata questa tregenda sulla morte della cultura, in onore della quale sono già stati salmodiati una sequela di pianti greci. Ed ecco che la sua poesia, sempre così propositiva e rivitalizzante, assume la gioiosità del calembour e del pastiche, con omofonie, omonimie, sciarade, e altre invenzioni lessicali, che ricordano la grande tradizione degli scapigliati, primo fra tutti Carlo Dossi, ma in tempi più recenti anche Petrolini, Palazzeschi, Zavattini. Al centro della vivace rappresentazione poetica di Angelo Tronca è collocata la donna. Anzi, dovremmo dire le donne, personaggi femminili dai diversi nomi e dai diversi volti, che rappresentano le espressioni dell’amore, sempre desiderato, vezzeggiato, sognato e agognato, che tuttavia, come in una comica d’autore, si trasforma molto sovente in qualcosa di sfuggente, evasivo e talvolta anche deludente.
La poesia di Angelo Tronca si presenta come un recitativo a soggetto spumeggiante e brioso che trae spunto dai fatti di vita quotidiana e che subito si illumina di magia e di possibilità eversive in modo da creare nel lettore la gioia immediata dell’invenzione, mai fine a se stessa, ma invece rivelatrice dei significati profondi che riscaldano come brace sotto la cenere i nostri sentimenti di uomini in cerca della bellezza e della gioia di vivere.

Sandro Gros-Pietro

Anno Edizione

Autore

Collana