PREFAZIONE

Tra le più prestigiose cattedre delle facoltà di lettere esiste da tempo quella di epigrafia greca e/o latina, ove il massimo della scienza si distilla nell’interpretazione della scrittura breve, a noi proveniente dal mondo antico. Gli antichi adoravano l’aforisma, cioè la “definizione” delle cose: un memento, un sigillo, un’icona che si accendeva nella loro mente e che sarebbe rimasta per sempre fissata nel granito a illuminare il cammino di chi nei secoli futuri sarebbe passato davanti all’iscrizione muraria. Su ogni tomba patrizia, eretta in pietre e mattoni e ricoperta col fasto del marmo, si collocava un monito, una massima, un sigillo di saggezza che funzionasse da avviso per i naviganti: essi avrebbero beneficiato di quel lacerto di memoria e di cultura, che sarebbe valso a farli riflettere sul significato profondo della vita. La scrittura in breve nasce, quindi, in luogo di distillato di sapienza, con un intento di ricapitolazione e di bilancio conclusivo: un apice di saggezza, o come in anni ben più tardi dice Pascal, comme une roupie de verité, una gòcciola di verità, per distinguerla da quelle tali e nobili gocce di verità che Paolo distilla nella sua Lettera ai Galati. Le mode cambiano e si modificano anche i mezzi con cui la cultura viene comunicata e condivisa fra gli uomini sia contemporanei sia posteri. Così è successo che la scrittura lapidaria e condensata in espressione breve sia quasi scomparsa, perché con la diffusione di carta e inchiostro è divenuto sempre più facile scrivere, motivo per cui la scrittura si è resa sempre più massiva e sovrabbondante, potenziata dai meccanismi della retorica, che collocano nell’allitterazione e nella ripetizione uno degli estri di stile più suadenti ed efficaci. Tuttavia, la scrittura in breve non è mai scomparsa del tutto, anche se ha perduto nei secoli il ruolo dell’assolo pronunciato sul proscenio teatrale della cultura, riservato al protagonista della scrittura moderna che, come si sa, divenne dapprima il poeta, poi il romanziere e, infine, il saggista o addirittura il corsivista. L’aforisma è sempre rimasto, anzi si è consolidato, come genere letterario riservato agli intellettuali più raffinati, come posa d’arguzie e di buon gusto, una sorta particolare di collezionismo d’antan. Preti, notai e farmacisti collezionano proverbi da esibire al popolo. Gli intellettuali, invece, collezionano aforismi con cui pungere elegantemente la mente dei colleghi e del loro raffinato uditorio di lettori esperti. Da gòcciola di verità l’aforisma, a quel punto, si trasforma e viene volta a volta definito come avvedimento, fosforescenza, frantume, fuoco fatuo, tromp d’oeil, errore, scheggia tagliente, e mille altre definizioni. Ma resta il fatto che la scrittura breve viene usata come trasmissione di una sentenza, un detto, un’espressione. Non si presenta mai come comunicazione o come proposta dialogata con il lettore: è, invece, una trovata pronunciata dall’alto del pulpito, quasi la citazione scioccante di un oratore che non conceda replica o commento, perché non produce una cultura maieutica, ma al contrario si esibisce in una cultura da spettacolo, cioè cerca solo il consenso ovvero lo stupore di chi ascolta. Rimane, dunque, all’aforisma quell’antichissimo sapore di sentenza oracolare, che gli proviene direttamente dalla notte dei tempi greco romani.
Tutto ciò avviene fino ai tempi moderni e modernissimi dell’attualità. Qualcosa di eccezionale si realizza con l’invenzione del computer, destinato a trasformare la scrittura come a suo tempo fece l’invenzione della carta, dell’inchiostro e, successivamente, della stampa. Il computer promuove il minuscolo e il corsivo, ossia adotta la forma dello scrivere che più si colloca vicina al parlato: una scrittura che privilegia al massimo la comunicazione, ma che retrocede decisamente in seconda linea la trasmissione dei valori, cioè la retorica pronunciata dall’alto dei coturni tragici, con l’uso di sentenze e di forme adornate, ipnotizzanti o seducenti del linguaggio. Tutte queste categorie d’antan finiscono in solaio e la scrittura breve diviene sempre più comunicazione propositiva di idee dialogate, aperte al confronto, alla contraddizione, alla proposta discutibile. Quando poi, in anni recentissimi, si inventano i messaggini telefonici e, successivamente, i cinguettii su twitter, ecco che la scrittura breve diventa espressione vincente, cioè protagonista che recita l’assolo sul proscenio delle vicende moderne della parola scritta: è una scrittura quasi esclusivamente da comunicazione, cioè maieutica, che ha quasi totalmente abolito la trasmissione dei valori, cioè l’erudizione, la pedanteria e anche il fasto della retorica.
L’aforisma moderno subisce una profonda trasformazione: non è più trasmissione, ma diviene comunicazione. Diviene proposta dialogata, racconto parcellizzato, costruzione di un mosaico panoramico, interpretazione maieutica della realtà discussa con il lettore, condivisa con altri autori, confessione personale dello scrittore, autobiografia impropria delle vicende minimali del quotidiano dello scrittore ovvero di un io generico che galleggia negli spazi indefiniti della proposta etica, civile, religiosa, artistica, di costume che è la cultura moderna condivisa e dialogata sui grandi mezzi di comunicazione di massa. Gli stessi mezzi di comunicazione di massa sono i primi protagonisti di questa grande rivoluzione della cultura, che passa dalla trasmissione alla comunicazione, in quanto sempre più propugnano e diffondono forme di partecipazione attiva da parte dello spettatore/lettore alle dinamiche della cultura che viene offerta sul libro stampato ovvero sull’e-book o anche sullo schermo del computer collegato per internet o sul televisore di casa, rivitalizzato da un telecomando che permette il dialogo o il cinguettio della comunicazione. L’aforisma, dunque, diviene epos: racconto complesso e parcellizzato di una realtà sfaccettata come la superficie di un diamante.
Esattamente in questo modo dobbiamo intendere il bellissimo libro di Federico Basso Zaffagno, che apre in modo consapevole e propositivo un futuro ricco di prospettive, comunicazione e dialogo alla scrittura in breve, di foggia e struttura aforistica. Il re del proprio mondo – titolo migliore non poteva essere trovato – è un saggio di educazione etica, civile, religiosa, erotica, politica e sportiva. Anzi, è un racconto, senza vicenda e senza protagonisti, c’è solo l’ambientazione, cioè la lettura propositiva che fa lo scrittore dell’ambiente in cui vive e la propria dichiarazione di partigianeria a favore di un certo modo di pensare e di agire, all’interno della società metropolitana contemporanea. Il libro si dipana come un mosaico che sempre più mette a fuoco non solo la visione d’insieme, ma anche i piccoli momenti particolari degli specifici modi di essere e di pensare. Per il lettore è una gioia addentrarsi nel mondo di Federico Basso Zaffagno, che pennella l’ambiente mondano da lui illustrato con una rappresentazione vigorosa e colorata, ricca di emozioni e di valori, sempre rappresentati con grande generosità partecipativa e anche con il rischio di lasciare trapelare un’opinione propositiva chiara e corretta, da condividere o liberamente da contrastare. Un bel libro, che si legge con grande facilità e fascinazione e che rimane come amico confidente sul comodino dell’intimità.

Sandro Gros-Pietro

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