“Il motto di spirito” e la sua relazione con l’inconscio, nella poesia satirica di Luigi Mazzella

La dirompente carica satirica di questa silloge poetica, I pazzi e le smorfie 3ª edizione, 2013, nasce da un denso pensiero emozionale, che coniuga la sfera ironico-satirico-sarcastica con un caleidoscopio inventivo-surreale. In questo universo interagiscono lo sberleffo, il sarcasmo, l’ironia, la pietas, assecondati dall’impellenza della creatività artistica. Con il sortilegio delle immagini, c’è “in fondo al cuore di Mazzella: l’uomo”, scrive Sandro Gros-Pietro, nella prefazione alla 2ª edizione de I pazzi e le smorfie del 2012, una creatività geniale, concepita in eccellente stile comico con il diretto rinvio ai grandi maestri della satira, da Giovenale, Marziale, Orazio al Leopardi delle Operette morali e poi al Belli, a Porta, a Trilussa. Le fusioni ludico-inventive e mimetico-espressive potenziano la lievitante e schietta affabulazione demiurgica del poeta. L’invasività di questa poesia aforistico-epigrammatica confluisce nel va­riegato universo dell’alterità, privilegiando la logica del “motto di spirito” e mettendo in forse le paludate certezze della logica ordinaria, quella della consequenzialità di causa-effetto di aristotelica memoria. Si legga a mo’ d’esempio: La spada di Damocle, Romanzieri e poeti, I voli di Pindaro, La metrica come antidoto alla noia. La necessitante forza d’urto del giudice-poeta spazia nell’area intricata della poesia satirica con caustici strali contro l’antropocentrismo, colpendo tutti i potenti: dai politici al Va­ticano, attraversando il mondo accademico, dal Pensiero laico ai Moralisti e studiosi, dal Buon ecologista ai Misteri della mente umana dai Graduati e Generali a Il Vaticano ed i Clandestini… Un discorso in versi, che, nel suo complesso articolarsi, disvela una sicura padronanza del mezzo espressivo, correlato da un’ironia sulfurea e da un’improvvisata ma­schera di scena. Lo stile inconfondibile di Mazzella tende a esprimersi per tramiti allusivi ed analogici, scarnificando e incidendo, nel profondo, la realtà umana.
Il referente emozionale ha un sotterraneo riscontro con la scrittura poetica, ora lucida e sapida, ora fantastica e visionaria e con un campionario illimitato d’immagini che attiva procedimenti di sapiente taglio stilistico-espressivo, attraverso l’acuto sondaggio del reale e un percorso variegato, dai toni ritmico-musicali. La trasfigurazione del reale avviene in simbiosi con le innumerevoli immagini ariose ed alate: Una regola confortante, Davanti ad un dipinto, Il Prometeo incatenato, Il vaso di Pandora, Il filo d’Arianna, Pensiero laico in un giorno d’autunno inoltrato. È un dibattito continuo d’idee, accompagnato dal riso ora beffardo, ora amaro del poeta, che ricerca l’essere, nel bisogno inappagato dell’altro. La vena inventiva di Luigi Mazzella trascorre dagli accenti mesti della malinconia all’acredine, dalla com­mozione all’ironia, dalla tetraggine al sarcasmo. La felice vocazione alla contaminatio, alla parodia, con la sapiente tecnica del rovesciamento, coglie nel­la dialettica degli opposti il superamento dei contrasti dell’esserci, compendiando, in poche, epigrammatiche espressioni, il contatto diretto con il lettore, per amplificare il piacere della lettura. È questo il momento apicale della poesia di Mazzella, poeta comico-realistico, o, se si preferisce, “poeta maledetto”, burlone e giocoso, beffardo e serioso, con un’innata propensione all’anticonformismo, la cui vena creativa è tutta attraversata da una carica trasgressivo-epigrammatica. Il verso è caustico e dolente, sulla linea à rebours dello Scherzo, Malizia e Vendetta Preludio in rime tedesche de La Gaia Scienza di F. Nietzsche. Lo scenario della poesia di Luigi Mazzella ha un sorprendente taglio prospettico: riverbera nel­la mente del lettore un cono d’ombra, che interagisce con l’oggetto del rifiuto o del contendere. L’io si immunizza dal contagio della storia e dalle sue insidie, quando il tono diventa imperioso e, dal beffardo, traspare la caducità e il disincanto del vissuto, che fa accettare a tutti con coraggio la dolorosa condizione esistenziale dell’essere. In questa direzione, si muove lo scenario psichico dell’io, che coglie nel­la satira, ora acre e pungente, ora indulgente e pietosa, il suo meccanismo di difesa. La poesia, per Mazzella, è fuga dall’esserci; egli prefigura un mondo-autre, che sia l’estrema liberazione dai tentacoli della materia umana.
L’indignatio è contro il comune, inquieto sentire del vivere, di cui il poeta avverte il vuoto e la miseria morale. Dietro la parodia e la caricatura si intravede, in controluce, la sotterranea malinconia del teatro dell’io, che segna un tempo acronico della condizione esistenziale dell’uomo e che deflagra, di volta in volta, con sicuro effetto comico-parodico. Il poeta si rammarica e sorride al tempo stesso, perché sovente egli stesso ha la consapevolezza del male-essere che scarnifica ancora di più la derisione corrosiva come in Ricordare a se stessi, Un’idea confortante, Le commemorazioni, Libertà esteriore e li­bertà interiore, Fede e tabù, Maschilismo, Omofobia e ottimismo di Daniel Defoe, La Natura e il Piacere. L’ironia parte quasi sempre da situazioni reali e attraversa tutte le diverse sfumature del “motto di spirito”: dalla caricatura alla parodia, dalla canzonatura all’accusa rovente, dal motto ironico a quello umoristico pirandelliano, inteso come sentimento del contrario.
Il riso amaro nasce dall’improperium contro un mondo che da sempre è alla deriva, perché la realtà, quella essenziale, è vista con distacco, al di là della sua provvisoria fenomenologia, anche se il poeta, co­me tutti noi, si sente parte in causa di un mondo inaccettabile e rifiutabile in toto. Il metodo investigativo del giudice-poeta non può prescindere dalla realtà dei fatti, che, a momenti alterni, gli rivelano la tragicità dell’essere, perimetrando trasversalmente il de­sti­no umano. Da questo immaginario traspare una vi­tale tristezza, che sfiora la tragicomica-commedia uma­na, lungo gli spazi infiniti di un mondo che è ir­redimibile e caduco. L’accostamento al Leopardi del­le Operette morali, da parte di Sandro Gros-Pietro, è sapiente e illuminante, io proporrei anche quello dei Nuovi credenti e dei Paralipomeni, insomma, l’ultimo Leopardi, quello della produzione napoletana, per intenderci, per una surreale meditazione di un per­corso ironico/fantastico, antilirico/pessimistico. L’ontologia negativa dell’essere e il daimon dell’ispirazione disvelano un’amarezza latente, che ha una diretta “relazione con l’inconscio”. “Il motto di spirito”, in termini freudiani, è un inconscio di conio bi-logico, la cui denegazione si trasforma in sentimento del contrario e il piacere della trasgressione e dell’anticonformismo, in Mazzella, è, ora, attività ludica, ora, piacere fantastico-ironico, ora sovradeterminazione surreale. Nel fitto ricamo eidetico, la condensazione, lo spostamento e la rappresentazione su­biscono una “formazione di compromesso”, nel rapporto duale tra l’io e l’alterità: questa specularità na­sce dal “dibattito” contrastivo tra l’io e l’altro e dal­la ricerca di un varco. L’incontro/scontro sono visti attraverso “il cannocchiale rovesciato” di un io irridente e, talvolta, inerme. La tensione oppositiva è sempre in atto, perché l’altro favorisce il travestimento e la realtà è analizzata da una distanza ravvicinata e da una specola di straniamento e di rêverie.
Il fantasma creativo prende consistenza, mediante le pulsioni distruttive e la costellazione io-altro di­venta uno stato con/fusivo dell’essere. Nel gioco del rovescio e nel segno del doppio, il poeta rifrange il suo magma creativo, in un altrove metastorico, che fa da controcanto alla deludente esperienza esistenziale dell’io. La prospezione dell’altro s’impone su­bito come dissonanza, resistenza inconfessata, disseppellimento del rimosso, in un percorso discontinuo, affidato ad un sentimento di epoché e di attesa incombente.
Audacia e latente sgomento si abbattono sul­l’“invisibilità del fenomeno”, perché la scena onirica della “destrudo” si sublima nell’incursione di un’ironia esuberante e vitale. Il testo poetico ruota attorno al piano della duplicazione; per Mazzella, la poesia è un dono di una divina liberazione, un pretesto per una confessione dissimulata, “uno strappo nel cielo di carta” pirandelliano. Egli è un demiurgo impietoso, che, con la sua satira dolente, esorcizza la tragicità del reale, sia con rabbia, sia con sottile indulgenza, trasfigurando poeticamente la commedia diuturna della vita. La sua sulfurea capacità di cogliere l’infelice destino dell’uomo mette sullo stesso piano la vittima e il carnefice, il giudice e l’imputato, alla ricerca di un’improbabile verità. Diseroicizza “il vi­vere insano”, dispiegando una presa di coscienza di un mondo interno nascosto, che fluttua in limine mentis e dissemina un tracciato di un percorso inconscio di una felicità plurale e di un pensiero positivo. L’indignatio teatralizza lo sfogo eversivo del poeta, interrelando “il principio di realtà” con il piacere del “motto di spirito”: è il rimosso che ritorna, sotto le mentite spoglie della finzione, tratte da un’acrobazia prospettica, che è un vero capogiro bi-logico. La personalissima cifra di Mazzella-poeta scompagina il canone del far poesia, al di là della tradizione o delle correnti, con questa indomita e incontrollabile disposizione all’osservazione del mondo e all’avventura quotidiana dell’io. Il poeta è “fuori di chiave”, per li­bera scelta; attraversa impavidamente la fase patica di auto-auscultazione, per con/fondere scena onirica e “principio di realtà”, che diventano, mediante un canto dispiegato, piacere preliminare. Il suo universo poetico è un reticolo di idee associative, il cui sno­do ricorsivo è dato da segmenti articolati di realtà-fantasia, finito-infinito, presenza-assenza. La dinamica di questo flusso ideativo, sapiente e ininterrotto, è una sorta di commutatore immaginifico, che trasforma l’incongruo in reale e il fantasma della poesia nell’area di una logica non lineare. Il movere risum sdrammatizza la tragica sventura della sorte umana e ci salva dall’onnivora malattia della vita. Questa poe­sia di notevole originalità è un unicum, che rifugge da ogni scuola ed è lontana da ogni catalogazione classificatoria. In una realtà prosciugata dall’“atomo opaco del Male”, la poesia satirica di Mazzella è di una straordinaria suggestione e deve essere considerata una delle voci più autorevoli, nel panorama letterario, del Duemila. Su queste ultime affermazioni nessuno mai nutrirà alcuna ombra di dubbio.

Carlo Di Lieto

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