INTRODUZIONE
a cura di Dylan Draenog

Nell’anno 2066 trovai un manoscritto datato 2024. L’autore era un certo quanto incerto Harinezumi, o così è traslitterato dal giapponese, parola che significa “riccio”, nel senso del piccolo schivo e spinoso mammifero della famiglia degli Erinaceidae. Non saprei dire quale sia stato il vero nome dell’autore, ma solo che fu verosimilmente italiano, avendo egli scritto nella nostra lingua. Tuttavia, ho un’ipotesi, di cui vi dirò in conclusione. Anticipo solo che fu un uomo e non una donna, così da evitarmi da subito l’obbrobrio del nessun fonema dello schwa.
Forse manoscritto non è il termine più corretto, ma in editoria un tempo venivano considerati così anche i testi dattiloscritti e quelli di videoscrittura, quindi attuati con una tastiera, un video, un computer e una stampante, ma non ancora passati attraverso il processo di stampa per la pubblicazione. In ogni caso, non saprei se comunque definirlo tale, cioè un manoscritto, ancor meno se inedito, poiché potrebbe essere stato pubblicato per un periodo in qualche sito internet e infine rimosso, destinato a sparire completamente se per caso, lavorando alla sezione italiana di Wayback Machine of Internet Archive, non mi ci fossi imbattuto io.
L’ho trovato dunque inaspettatamente e casualmente cercando una traduzione del mio cognome “Riccio” in qualche altra lingua, alla ricerca di uno pseudonimo io stesso col quale pubblicare i miei racconti erotici. Avrei scelto proprio Harinezumi, se non avessi trovato questo precedente e non ne fossi rimasto affascinato. Per me scelsi poi Draenog (riccio, appunto, ma nella lingua gallese, poiché Riccio era il cognome di mia madre) e Dylan come prenome gallese maschile. Del che me ne servo ancora, per la fama così raggiunta.
Il manoscritto – continuerò a chiamarlo così per comodità – presentava una raccolta di 116 haiku alquanto bizzarri, sicuramente anticonvenzionali, i quali, tuttavia, mi appassionarono a mano a mano che ne approfondivo i contenuti. Dopo due anni dal mio fortuito recupero di questa dimenticata opera, sempre più coinvolto, ho deciso di farla conoscere, arricchita da un mio personale commentario, frutto di meticolose ricerche intorno all’epoca del Nostro.
Non ho trovato alcuna notizia biobibliografica relativa ad Harinezumi, a meno che la mia ipotesi finale non venga ufficialmente confermata; ma il livello di scrittura escluderebbe che fosse un principiante. Magari fu uno scrittore altrimenti noto che preferì, in questa occasione, adottare uno pseudonimo, ma non credo per ragioni alimentari, giacché già da tempo lo scrittore non può certo più vivere del proprio lavoro, o sempre più raramente, dilagando piuttosto la vanity press e gli scrittori APS. Senza contare gli ormai diffusi generatori AI di poesie e racconti tra gli elettrodomestici di casa. Primo Levi, con il suo versificatore, vide lungo.
Oppure, Harinezumi potrebbe avere usato questo alias come parte integrante della propria poetica, come fece Pessoa come un equilibrista dell’identità, in un gioco di specchi letterario che lui definì un tratto profondo di isteria in sé.
Ci tengo, in ogni caso, a precisare che non siete di fronte a un “manoscritto ritrovato” in quanto topos o espediente narrativo mio personale. Niente a che vedere con “Le incredibili avventure al di là di Tule” di Antonio Diogene, né con il “Manoscritto trovato a Saragozza” di Jan Potocki, né altri manoscritti inventati come espediente letterario come quelli del Turpino dell’Orlando Innamorato e poi Furioso, o quell’altro in aljamiado del Don Chisciotte, o ancora il manzoniano “dilavato e graffiato autografo” seicentesco e avanti citando Jules Verne, Nathaniel Hawthorne, J.R.R. Tolkien, Umberto Eco o Fedor Dostoevskij. Non sarei mai all’altezza di cotanti scrittori, né tanto meno di Harinezumi, a cui devo riconoscere una sua originale superiorità rispetto al mio lavoro, incapace io di scrivere poesia, quanto meno decente. Il mio alias per pubblicare certi miei scritti di genere erotico, è stato da me scelto solo per non essere riconosciuto, ponendomi eventualmente in imbarazzo rispetto al mio lavoro di esimio professore. Vi domanderete, allora, perché non mi sono rivelato con il mio vero nome in quanto curatore di quest’opera ritrovata, e io vi risponderò: per stare al gioco di Harinezumi e aggiungervi qualcosa nella scatola dei misteri.
E non vorrei si pensasse nemmeno a uno pseudobiblion come fu il Necronomicon di H.P. Lovecraft. Questo libro è realmente esistito e non lo cito come se fosse vero, riportandovelo alla luce verso dopo verso. Di per sé, va detto, questa raccolta di haiku non contiene nemmeno qualcosa di affascinante come certi altri manoscritti segreti, che sono archivi del sapere perduto, come i manoscritti di Qumran, l’apocrifo papiro Tulli, ritenuto falso in ultimo, o il manoscritto Voynich, ancora oggi rimasto il libro più misterioso del mondo. E, tuttavia, ho sentito infine il dovere di far pubblicare questo libro altrimenti destinato a perdersi del tutto e per sempre, cosa che mi ha dapprima intrigato, poi sempre più ossessionato, fin quasi a sentirmi una sorta di prescelto sincronico nondimeno responsabile di una definitiva sparizione di un qualcosa a me affidato dalla sorte, ultima speranza.
In quest’epoca dominata dalla AI il libro ritrovato di Harinezumi assume per altro ancora più valore. Oggi non sappiamo più se ogni autore di un libro, come anche di musica e dell’arte e dell’architettura eccetera in generale, abbia davvero scritto, composto ed eseguito lui o se abbia creato con l’impiego della Intelligenza Artificiale, per quanto tutti dichiarino e giurino il contrario. A cominciare dallo stesso movimento di YouMan Lit Rebellion. Il sospetto è sempre dietro l’angolo e tutto ormai non può che lasciarci nel dubbio, guastando il gusto di ammirare eventuali talento autentico e genuina genialità. Nel 2024, muovendo i primi passi, la AI non era ancora uno strumento così raffinato e disponibile. Non a caso Harinezumi deride la Artificial Intelligence nel suo “Motto perpetuo”, mettendo tra parentesi la specificazione che si tratta di un crash, che nel gergo informatico indica un errore, un blocco o una terminazione improvvisa di un programma in esecuzione, un andare in tilt insomma dopo la richiesta in questo caso di ideare, appunto artificialmente, un haiku, qui fattosi A.I.ku.
Perciò vi invito alla lettura tornando a gustarvi qualcosa di certamente ancora e del tutto dovuto ad autentico umano ingegno, così da meritarsi il marchio “HU! – Human !ntelligence, of controlled and guaranteed origin”. E questo nonostante chi derida questa denominazione come l’esclamazione e interiezione di una umanità primitiva e troglodita, che non si è evoluta accettando il nostro tempo dominato dalla robotica.
Detto questo, passerei a presentarvi i 116 haiku di Harinezumi senza altro indugio, da me spiegati in un primo tempo solo per me stesso e per mio diletto, sempre più appassionandomi in questo lavoro così da proporvelo in forma di gioco enigmistico, com’è divenuto per me interpretandolo e spiegandomelo nel tempo fin dal suo rinvenimento. Prima leggerete dalla parte diritta i soli haiku, così da capirli o goderveli voi come vi pare. Se poi cercherete delle soluzioni, come a indovinelli, sciarade, rebus o parole incrociate, capovolgendo il libro, potrete ricorrere alle mie annotazioni, qui pubblicate al contrario, proprio come si usa fare sulle riviste di enigmistica. Il libro risulta infine uno strano mix multigenere: è innanzi tutto un libro di poesia, ma diviene anche un saggio di letteratura dentro la cornice di un racconto di genere manoscritto ritrovato, benché vi abbia già detto che non è così; quindi un libro di enigmistica. Alcuni haiku di Harinezumi sono il risultato di considerazioni ed esperienze simili alle sentenze dell’aforisma. Potrebbe dunque essere anche un aforismario.
Va infine detto come anticipato che, qualche mese fa, ho ritrovato due haiku di un certo Davide Riccio, poeta e scrittore torinese nato nel 1966, pubblicati insieme ad altre poesie in una raccolta edita dalla Genesi Editrice nel 2023, e dal titolo Il Brecceto. Uno si intitola “Prese per l’haiku”: Pesce volante / sfugge al tonno predace – / il cormorano! E l’aliomodo: Pesce rondine / schina sgombri affamati – / Ah, la fregata!. L’altro è “Sindrome del prigioniero”: Non la listeria / rigirando in cerchio, / bensì l’isteria. Questo mi consente di affermare che il nostro Harinezumi fosse in realtà proprio lui, salvo un caso di plagio. Un altro suo haiku, decisamente nel suo stile, ho ritrovato in una antologia datata 1992, e dal titolo “Miraggio di gloria”: Questo ripenso: / Sì, mi raggio di gloria! / Poi m’addormento. Ho cercato altri suoi libri, ma per ora senza risultato. Però, quanto sopra riportato mi pare abbastanza da provare che di lui si possa trattare, il tutto corroborato dalla coincidenza del cognome Riccio-Harinezumi. Sicuramente, Harinezumi – Riccio Davide non è più tra noi, sebbene qualche ultracentenario sia ancora in vita. Ho provato a verificare tra gli atti di morte di Torino e l’unico Davide Riccio qui nato nel 1966 non vi compare. Probabilmente morì altrove. Ma lascio ad altri, soprattutto agli storici, il compito di indagare più a fondo sulla sua vita e la sua opera, se lo riterranno degno e opportuno. Per intanto io ho gettato un seme e vi riporto sulla bandella le note biobibliografiche pubblicate sull’unico suo libro del ’23 da me recuperato e di cui prossimamente potrei curare una ristampa, qualora nasca un caso letterario Riccio-Harinezumi che me ne dia più motivo e ritorno.
Ovviamente, con la mia esegesi, non ho la pretesa di aver capito e spiegato tutto e correttamente, anche se mi piace pensarlo. E rispondo all’ultimo haiku scritto in appendice da Harinezumi: Nei passi oscuri / Chi osa farmi la chiosa / or che ho chiuso?
La risposta è semplice: io, Dylan Draenog! Così è capitato.

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Settembre

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