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Autore: Silvia Marzano
Editore: Genesi Editrice
Formato: libro
Collana: Cam, 6
Pagine: 232
Pubblicazione: 2015
ISBN/EAN: 9788874144846
Per ogni battito del mio cuore
Empatia e “bi-sogni” nel pensiero-poetante di Silvia Marzano
Il tenero e malinconico tono elegiaco sembra essere la cifra tematica della creazione poetica della silloge Anemoni bianchi e altro di Silvia Marzano, ma ad un’attenta indagine viene alla luce “un’estetica della caducità”, dai riflessi autobiografici, sospesa tra agnizione e conoscenza del profondo. Nella dinamica eidetica della scrittura di Silvia Marzano e nella sua riflessione creativa esiste una costante nel tono, nelle sfumature e nel timbro della sua musicale e delicata vena poetica. Nell’inferenza generale delle immagini, la prima ricezione è quella di una visione interiore di un candore straordinario, amplificato dal poderoso percorso emozionale. Appare evidente quanto abbia a fermentare, a cerchi concentrici, la parola della Marzano, che confligge con l’attesa e la speranza di un varco, di un oltre, di un altrove. Coagula e poi proietta la propria vitalità significazionale, al di là di se stessa, nello spazio della conoscenza, in un circuito, che, talvolta, esorbita dal testo e coglie significati profondi della psiche dell’autrice. L’esattezza dei significati non è nell’esaustività terminologica, ma è nell’area del pensiero emozionale, quale vettore privilegiato dell’autoconsapevolezza o dell’autoanalisi. Nella tensione emotiva c’è una persistente linea di condotta che regge il discorso poetico e suffraga quello che scrive Blanchot: «La terribile parola trascende ogni limite e perfino l’illimitatezza del tutto: prende la cosa dalla parte dove non la si prende, non la si vede, non la si vedrà mai; trasgredisce le leggi e, affrancandosi dall’orientamento, disorienta. Il linguaggio si comporta come se potessimo vedere la cosa da ogni lato». Rintracciare il lato oscuro dell’essere, al di là dell’alato verso, significa perlustrare l’ignoto che si cela nella densità dell’altro da sé; è questo un compito preciso dell’ermeneutica psicoanalitica, perché il discorso poetico possa essere predisposto alla costruzione di un processo creativo. Sulla scorta della bellezza dei versi della Marzano si connota il decorso progressivo di uno spaccato vitale dell’esserci, che lascia spazio alla fantasia e alla storia diacronica, attraverso una rete associativa di parola – cosa – stati d’animo. Mettendo a fuoco l’ottica della condensazione e dello spostamento psicologico, attraverseremo, mediante lo scavo del profondo, come esso è strutturato dalle immagini, la connotazione del bi-sogno. Il pensiero si estroflette nell’atto del movimento dentro le cose, come evento della finzione; la ciclicità dell’eco di un sogno, dell’illusione, della voce del vento (ànemos) è rintracciabile nell’espansione dell’io, che deflagra senza limiti nella sfida di una ri/cerca interiore. Quando la coazione a ripetere coglie lo stato di grazia della poesia, l’ottundimento della coscienza declina l’alterità come melancolia ed entropia esistenziale. Il fantasma deborda verso uno spartito lirico – elegiaco con alcuni spunti di dolente tristezza e una visione “orfica” della parola.
Sulla dissolvenza evanescente di alcune immagini centrali c’è lo snodo significativo della trasmutazione dell’io, che tende all’oltre, dimenticando il contingente, che comunque ammalia l’autrice, in una vertigine di trasalimento e di innocente purezza lirica. L’appannamento coscienziale nasce dalla mancata gratificazione di assoluto, palpabile nell’unitarietà di un io, spossessato dalla prigionia dell’essere. Questa “captività” volumizza la tristezza e il proprio dolore, in alcune circostanze, acuendo il segno della memoria e della nostalgia del ricordo, come una doppia anima dell’autrice. Il fuggevole e l’effimero si rincorrono nel cuore di “una parola innamorata”, che si agita nel simulacro di un beffardo destino. Gli eventi si delineano in una concreta oscillazione del Tempo, segnato dal trascorrere delle stagioni e collocato sotto un cielo, costellato di “tremule stelle”, senza tempo. Trascolora nell’aria incolore lo sguardo di chi «cerca la linea invisibile dell’orizzonte» e la voce del silenzio ha in sé il vulnus di una “lacrima di pietra”. Tutto si trasfigura nel desiderio di un’altra vita, a fronte di una scena onirica, che sfida la “tenebra variopinta”. La poetessa è sempre sull’orlo di una proda, guarda al di là delle nuvole, fissando con uno sguardo languido il suo “incantesimo”. La sua ansia d’infinito supera le apparenze del mondo, la spettacolarità dell’esserci proietta il suo io oltre la realtà del visibile e del non-detto. Prigioniera di un involucro fantasmatico, il candido legame, che unisce l’uomo alla natura, non viene mai meno, in questi versi godibili, che si dipanano, in un prodigioso miracolo di bellezza. Lo scenario di luce e il canto vibrante di una trama disperata invocano un’alba, che non verrà o un dono di un amore inappagato, con uno sguardo, che fissa un orizzonte, attraversato da “bianchi cavalli”. Un’atmosfera sognante, “lontana nel tempo”, disegna un crepuscolo di “sogni perduti”, “un raggio di luna”, “un bimbo”, “un fiore”; “il riflesso pensato di un’altra mente” indulge all’alterità, nello speculare nitore della scrittura poetica e nelle “intermittenze del cuore”.
Le tracce mnestiche propendono per un’attesa e per arcani bi-sogni, che oltrepassano un tempo acronico e struggente: «Tutto il reale noi lo inventiamo nella speranza di vederlo dipanarsi in un artificio prodigioso», scrive Baudrillard. Il dettato asettico della poesia di Silvia Marzano è un prodotto dello stato di grazia della creatività fantastica, senza essere intrappolato dalla pania speciosa della finzione.
Dominano sovrane e superbe le connessioni eidetiche di un sovramondo fruibile, alla luce della “reversibilità”: tutto è incessantemente modificabile, incontenibilmente puro ed empatico. Se tutto si consuma e diventa edace, secondo una logica di deperibile entropia, l’autrice consolida una sua personale visione del mondo, nella fascinazione beatificante di una realtà alternativa, che smuove il pesante ingombro del disagio o di una ferita mai rimarginata. Il rapimento estatico, quasi mistico, tocca quell’io profondo, che è sede della coscienza e matrice di agnizione e di conoscenza. Lo schietto e, al tempo stesso, epifanico verso, smussa gli angoli dell’intimità, nel gioco della sospensione illusoria e nel travalicamento del pensiero-poetante.
La seduzione del verso parte dalla voluttà del desiderio e dal coagulo della forma, come cosciente consapevolezza di un io sicurizzante, che fa bella mostra di sé.
Opportunamente possiamo ascoltare “le voci di dentro”, che balzano davanti a noi, in attesa di un vento rigeneratore, che porti via il sapore delle cose e dia nuova vita agli scenari immoti del mondo. L’auscultazione attenta non disdegnerà di far assumere valenze conturbanti di una nuova vitalità, per naufragare, poi, nella notte faustiana del nulla. La caducità è il confine effimero di questo transito, ma il segno imperituro, sembra volerci suggerire la poesia di Silva Marzano, è l’eterna immagine della morte. Il testo non mostra meandri o lati oscuri e reconditi, dopo molteplici attraversamenti, ma è ineludibile dover ammettere che la sua fertile e produttiva morfologia dà alla luce una maestosità sorprendente di un sistema fecondissimo di immagini (iconematica), tale da assorbire l’attenzione del lettore. Svincolato dalla sua immediatezza, sotteso da una dinamicità vitale di un taglio analitico psicologico, offre il destro ad un “sentire inquieto” e debordante. Dalla memoria rinascono continuamente i ricordi, che, come gabbiani, si levano in volo, nel rifluire ininterrotto della circolarità del vissuto. L’inquietudine e gli smarrimenti sono il controcanto della vertigine creativa dell’autrice; al “giardino sfumato di sogni”, si avvicendano “care voci” e “nuove speranze”. Le parole di Blaise Pascal, tratte dalle Pensées, nella loro luminosa icasticità, compendiano il rapporto bi-univoco tra l’attesa e la speranza: «Nous ne pensons presque point au présent; et, si nous y pensons, ce n’est que pour en prendre la lumière pour disposer de l’avenir. Le présent n’est jamais notre fin; le passé et le présent sont nos moyens; le seul avenir est notre fin. Ainsi nous ne vivons jamais, mais nous espérons de vivre».
Lo Stimmung crepuscolare della Marzano nasce dalla “memoria involontaria” dei suoi stati d’animo; desta una sensazione delicata e deliziosa, animata da emozioni soffuse di tenerezza elegiaca e da una speranza che promuove un continuo slancio vitale, in un non-luogo fantasmatico e, talvolta, dereistico, che coincide con un nostro profondo desiderio di essere. “Le parole del poeta” narrano “la trasparenza del mondo”, “sognano incantesimi”, “con occhi di bimbo”. Nel vacillante sospiro, nel “lacerante grido” c’è la presenza onnipresente dei fiori: anemoni, rose, asfodeli, papaveri, ribes, peonie, viole… Petali e corolle, nuvole e stelle, prati e uccelli, nidi e foglie: un universo pascoliano, segnato dal lutto o da lacrime inconsolabili.
Luci e colori, en plein air; anche gli stati d’animo sono colorati: azzurri e neri, come l’azzurro del cielo terso e senza nuvole e, nero, come l’arcano nero della melancolia e la grigia tristezza di Saturno. In Fusées, XII, Baudelaire esprime il senso preciso della nozione del bello, che nasce dall’irregolarità: «Quel che non è leggermente difforme ha un’aria insensibile; ne consegue che l’irregolarità, cioè l’inatteso, la sorpresa, lo stupore sono l’elemento essenziale della caratteristica della bellezza», considerando la scrittura poetica «operazione magica», nata da «una magia evocatrice». Il metodo delle “libere associazioni” richiama alla mente contenuti, correlati alle immagini e all’effetto persuasivo che produce.
È un metodo che è possibile in un contesto nel quale la soggettività opera, in modo pervasivo, in se stessa e, in modo parziale, per la poesia di Silvia Marzano, che si proietta verso una realtà esterna, sublimata ed edulcorata, dalla commistione, fra traslazione e libere associazioni, tra interno ed esterno.
L’interno traspare sotto forma di resistenza, in un baluginio di luci e di colori, senza mai evitare la coerenza logica del dettato poetico. Il consistere del flusso delle libere associazioni provoca un transfert sul lettore, veicolando collegamenti per lo più mascherati, con contenuti inconsci, stabilendo un equilibrio abbastanza stabile con il sistema conscio. Sottoposto a un diverso processo di svelamento, dal testo traspare un fascino sottile, dato dall’effetto empatico del vissuto dell’autrice. Il continuo germinare dell’affabulazione, per spiegarne le ragioni sottostanti sono state bene intuite, in tale direzione, da Cartesio: «La soluzione dei problemi non solo serve a dare una profonda e razionale cognizione della materia ma serve anche a dare la facoltà di penetrare l’intima ragione di tutte le cose». La tessitura testuale oggettiva uno stato empatico di grande risonanza emotiva negli aspetti psicologici e nei registri di un rinnovato godimento estetico.
La ripetizione di alcuni stati d’animo, considerati come duplicazione, sono da ritenersi una variazione di un’ottica, prima sconosciuta, connotata da un’energia forte, e poi, inesplorata o inesistente: “Nostalgia”, “Come una nuvola”, “Oltre e al di là”, “Pioggia”, “Fiori d’inverno”, “È rimasta la cenere e i fiori bianchi”, “Come i fiori la rugiada”. L’area dell’analisi si ispessisce in un’incidenza di interazione tra i testi, dai quali si desume un forte impatto psicologico; la convergenza dei versi su temi archetipi, come il desiderio dell’oltre, il sogno come bisogno, l’illusione, vista come un gioco, il vento, indice di metamorfosi e tutta l’area dei fiori, per sopire i disinganni della vita, le mutevoli stagioni, sono orizzonti di senso, protesi verso la ricerca dell’infinito. Le invarianti del testo poetico di Silvia Marzano hanno una solida stabilità unitaria e un’armonia interna che non viene scalfita dalla florida vitalità delle immagini, che, prepotenti e maestose, balzano come “radiose stelle”, nel firmamento dei meandri del testo. Da dove nascono, come si strutturano, si formano e si aggregano, solidificandosi, nel mutare il grado e il livello, è il vero fascino di questa poesia.
La sua fenomenologia si statuisce nella plurivocità inesauribile di una trasmutazione, data da una sequenza ininterrotta di coinvolgimento emozionale con il lettore. Da tale forza necessitante, l’autrice focalizza, nel profondo della coscienza umana, la vera trasmutazione del dettato poetico. La poesia della Marzano viene consegnata all’altro empaticamente, dispiegandosi in quelle regioni dell’io, che funzionano secondo il processo secondario, nel preconscio e nella coscienza, perché l’empatia è un’autopercezione di quel che sta capitando nell’altro. Stefano Bolognini così definisce l’empatia: «La vera empatia è […] una condizione di contatto conscio e preconscio caratterizzata da separatezza, complessità e articolazione; uno spettro percettivo ampio in cui sono comprese tutte le tonalità di colore emotivo […] e soprattutto un progressivo, condiviso e profondo contatto con la complementarietà oggettuale, con l’Io difensivo e con le parti scisse dell’altro, non meno che con la sua soggettività ego sintonica». I versi alati della Marzano sanno attivare con l’altro un’identificazione proiettiva e operare un intreccio di interrelazione con il vissuto dell’autrice, insomma, un legame privilegiato tra empatia e controtransfert.
Il processo del lavoro onirico, in queste liriche, quello inconscio, ma anche quello subliminale, nella misura in cui viene percepito e svelato, provoca reazioni massicce di resistenza e meccanismi difensivi. Nel rielaborare la via di accesso al profondo, l’indagine implica di per sé il riconoscimento dell’alterità, dell’irriducibilità dell’altro a noi stessi. La dislocazione, nel mondo esterno, con rapporti inerenti alla propria struttura psichica, è un momento proiettivo di straordinaria importanza nella poesia lirica della Marzano.
La specularità tra l’io e l’altro agevola la fruizione psichica e la germinazione della realtà oggettiva si confronta con quella soggettiva, rendendo razionale l’empito creativo e lacerando le finzioni, che sono dietro le apparenze deformanti. I livelli del testo, sorretti da un’innocente visionarietà, presentano l’immagine come modello della realtà, che diventa speculare della scena psichica. L’immagine della poesia della Marzano ingloba l’oggetto reale, “nuvola”, “vento”, “mare”, “rugiada”, “cavalli”, “luna”, “crepuscolo”, istituendo un forte nesso tra l’immagine stessa, il simbolo e la metafora. È biunivoco il rapporto che corre tra rêverie e scrittura; questa imprime un moto perpetuo all’immagine che vi è celata, così come la realtà eidetica richiede per sé la subordinazione della scrittura. L’elaborazione della stessa immagine dei “fiori”, nella scrittura dell’autrice, come si forma, come si consolida e come si definisce nei suoi stadi terminali, è intrinseca alla gestazione poetica e si dispiega visibilmente nel laboratorio segreto della Marzano, dove si consuma la pratica della sua ricerca e la tensione progressiva è illuminante fino alle immagini archetipiche degli “anemoni bianchi”, “l’eco di un sogno”, “la linea invisibile dell’orizzonte”, “guardo in alto, le stelle”, “lacrime di pietra”, “leggere le parole del vento”.
“Le intermittenze del cuore”, distesamente affabulatrici e sognanti, hanno una musicalità interiore e un’evanescenza, attraversata, nel suo epilogo, dall’“ontologia del negativo”, che rinvia al non-dicibile e all’attesa di un altrove. “Tracce di un’assenza” o dell’informe, cercano ansimanti un approdo; un barlume squarcia le tenebre e riempie gli spazi bianchi dell’essere. In Arcani di-segni traspare “un’anima disseccata”, abbacinata dalla vertigine della storia e incalzata dello spettro del nulla. Una sorta di non-vita, affidata ad un destino burlone, ad “antiche memorie” e ad un “giardino sfumato / di sogni”. Le parole diventano evanescenti, ma alla poetessa non sanno celare “la trasparenza del mondo” e disegnano i contorni di un sogno, vissuto con gli occhi di un bimbo innocente. Le “forme aperte”, protese verso un oltre ignoto, germinano dall’attraversamento di un limite, quello terreno, per ricongiungersi, in uno stupore mistico e contemplativo, al “sole nero della melancholia”. Quest’ultimo frammento iconico rapprende “l’inquieto sentire” dell’autrice, quando “la solitudine dell’anima” diventa silenzio e sofferenza e i fiori, con i loro “petali effimeri, / fiori di vento / non parlano più ora / alla mia anima».
L’aura fonica e visiva attesta il variare di una diversa condizione psicologica, di un bi-sogno e di un desiderio, che sa fare a meno dell’artificio letterario. Le immagini destabilizzano l’armonia iniziale e impongono una prospettiva di fuga, quasi una stasi abbandonica. Nel fecondo sistema delle immagini della poesia di Silvia Marzano, è fondamentale perlustrare l’agnizione dell’immagine, studiandone le modalità, il comporsi e lo scomporsi, per intravedere i congegni segreti. Razionalizzare le funzioni iconiche, che si connettono ad un’interpretazione psicologica, resta la via regia, che erompe dal circuito del testo.
Nel suo farsi, il dettato poetico si proietta al di fuori del tempo, in quanto, oltre a coesistere con il proprio momento storico, nella fattispecie, persiste una costante di registri, di toni, di sfumature e di vitalità, secondo l’assioma di Merleau-Ponty: «Un testo, se è valido, sorpassa se stesso come evento storicamente datato». La vera ricchezza di questa poesia è nell’omogeneità del veicolo emozionale e la sua portentosa dinamicità vive in funzione del suo fruitore, sfidando il tempo e diventando necessità di sopravvivenza, oltre il tempo storico. Il fascino sottile è dato da una ricognizione introspettiva, che sedimenta la con/fusione tra l’io e l’altro da sé; quest’immagine interna è iperinvestita in “Come una nuvola”, “Oltre e al di là”, “Mare di perla”, “Parole come petali sfatti”, “Fiori d’inverno”. Le immagini assumono una diversità cangiante e un’appercezione armonica; la loro validità è nella vitalità dinamica, che si delinea nella fenomenologia incorporea, che va al di là della scrittura, in un risvolto noumenico e nella dialettica uomo-natura, deiezione fondativa, della mitografia della visione di questa poesia.
L’io e l’altro da sé si rincorrono spasmodicamente e nell’urto si confondono, ma l’altro da sé domina nella solitudine, quando le due forze componenti si scindono ed imperano l’assenza, la distanza e il bi-sogno dell’oltre, come sono esemplarmente registrati in “Esistere in sospeso, oscillare”, “La panchina verde”, “Viole del pensiero”, “Ho visto il sole all’alba”. La mobilità della visione si trasmuta in lungimiranza o in rêverie visionaria, che si duplica con la fervida forza dell’immaginazione. Il bi-sogno dell’assoluto viene fagocitato dall’essere come feticcio del non-essere; il fascino liturgico della comunicazione, in armonica simbiosi, coniuga l’indicibile e il logos, il visibile e l’invisibile, trasfigurati, in immagini, da Silvia Marzano da un’eccezionale levatura poetica.
Il reale, nei suoi versi sembra immaginario e l’immaginario reale: è uno scenario attivo e dinamico e conferma il valore dell’immaginazione come forza del pensiero emozionale, secondo quanto ha scritto Leopardi: «L’immaginazione è la sorgente della ragione, come del sentimento, delle passioni e della poesia».
Carlo Di Lieto
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