Anemoni bianchi
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PREFAZIONE Il truce Marte, focosamente invaghito di Venere, si tormenta di gelosia per l’amore che la dea della bellezza riserva al femmineo Adone, e medita di ucciderlo. Gli aizza contro un feroce cinghiale, che in un amen fa scempio di tanta ineffabile beltà. La dea accorre a piangere sulla salma sfigurata dalla bestia e a sua volta versa il sangue, perché lievemente ferita ad un piede da un pruno. Accade che mentre la Divina cosparge di nettare balsamico il corpo inerte dell’amato, il suo olimpico sangue s’unisca sulla nuda terra a quello del povero Adone, e subito prenda a ribollire, come fosse brodo primordiale. Ovidio - ed una successiva teoria di poeti, per arrivare fino a Parini e Foscolo - celebra nella gloria poetica il sortilegio, per cui dal sangue divinizzato di Adone nasce l’anemone, fiore vermiglio, stupendo ed effimero, destinato alla caducità, per via di quell’esile stelo, a motivo del quale prestamente sarà rapinato e divelto dall’ànemos, il vento, che gli ha dato la paternità letteraria della nominazione e che, nella realtà dei fatti, gli darà la morte, alla fine sradicandolo con una folata dal terreno. Sandro Gros-Pietro |
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