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Prefazione Renato Greco è il poeta più prolifico del secondo Novecento italiano e della prima metà del Duemila. La sua produttività si estende come la Foresta Nera in Germania o meglio ancora come l’Amazzonia nell’America del Sud. Ricopre interi continenti, con un assiduo versificare di variegata flora, dalle tenere erbette a fior di suolo fino alle imponenti alberature protese a solleticare il cielo. Testimonio della nostra epoca, con una connotazione linguistica e territoriale decisamente italiana, cantore “del bel paese là dove lì sì suona”, per dirla con l’espressione di Dante usata nel potente canto XXXIII dell’Inferno ove si tratta del conte Ugolino e in genere dei Traditori della patria e degli ospiti, Renato Greco si porta in cuore il suo Paese come centro del mondo, che pure dichiara di avere visitato “in lungo e in largo” fino a smemorare l’una e l’altra contrada, ma non mai la sua terra natia, Cervinara, con l’Irpinia in genere, e poi la sua seconda patria di adozione, Modugno in quel di Bari, con l’intera incantata Puglia, terra di solare bellezza. C’è un amore che pulsa sincero e forte, rivolto agli uomini e alle donne della sua patria, ispirato ai luoghi, ai paesaggi, alle abitudini e ai monumenti. C’è un’attenzione sempre tesa a commentare i fatti, stigmatizzare i caratteri, le scelte dei protagonisti degni di rispetto. Sono uomini per lo più anonimi: contadini, operai, borghesi delle libere professioni. L’impegno e l’onestà degli intenti meritano l’attenzione del Poeta, meritano l’accorato ricordo, la celebrazione. Scorre il grande fiume dei versi, che attraversa circa mezzo secolo di produttività, ma che è esteso, con i richiami della memoria, a evocare l’ultimo intero secolo posto a cavallo del Terzo Millennio. La rappresentazione del tempo appare seguire una logica evolutiva di continuazione che volutamente non rispetta la cronologia, per cui si alternano, nel ruscellare dei versi, i tempi del passato con quelli del presente e con le proiezioni in un probabile futuro, come a specificare che l’animo del Poeta è immerso nel liquido amniotico della rigenerazione continua, per morte e per rinascita, tra lacerazioni e congiunzioni, fino a giungere a intonare un canto unico, tanto ammirativo quanto severo, tanto celebrativo quanto fustigatore, di grande legame alla Storia del Bel Paese, che onora con la sua grazia il Pianeta e che oscura con i suoi peccati di abulia, ignavia e tradimenti l’alta virtù umana di cercare sempre il meglio per sé e per i propri figli. Quella di Renato Greco è una poesia sostanzialmente civile, rivolta a educare l’animo umano all’autosorveglianza di sé stessi e delle proprie pulsioni: una diagnostica permanente sull’analisi dei comportamenti etici, politici e anche interrelazionali fra gli uomini. Sotto questo profilo, possiamo definirla una poesia antica, ma non lirica o melodica o seducente per vaghezza delle forme. Poesia della mente, dunque: poesia della ragione. La parola poetica di Renato Greco nasce dal ceppo antico della filosofia, cioè dell’amore verso la conoscenza e soprattutto del nosce te ipsum, impresso sul tempio di Apollo a Delfi. Sandro Gros-Pietro |
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