Torino, città di mare
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PREFAZIONE Conteso fra condanna e ribellione, Paolo Bignoli percorre la sua discesa agli inferi, non con abbandoni decadenti, nonostante qualche richiamo a Baudelaire, ma con determinazione dantesca. Non sono soltanto i rimandi intertestuali, spesso parafrasati, a palesare la sua dimestichezza con la Divina Commedia, quanto piuttosto l'intonazione e la decisione della cifra poetica specie nella prima composizione ad ampio respiro Non lubet scribere… Bignoli ha un suo Virgilio, che però è una donna, non si sa fino a che punto reale o essenza di femminilità, al tempo stesso guida e dannato. Anche l'autore è immerso nel travaglio della sofferenza, quasi mai manifestata in analisi di smarrimento interiore, ma materializzata in simboliche pene macabre o grottesche. Imbozzolato nel suo presente male di vivere, avverte la diacronia del passato in dimensione temporale ma soprattutto come diversità emotiva. Colei che era sembrata novella Beatrice, "donna e montagna / fianchi intangibili / che non ho osato", la già "musa, amante nemica" ha scoperto "l'inganno dei seni, / i fianchi meschini e tal è, tu puttana" che si graffia "con le unghie rognose". Eppure oltre ogni logica, oltre ogni traviamento della came e dello spirito, oltre ogni punizione senza possibilità di riscatto, ancora incanta "l'odioso fantasma" e, anche se nello sterco rivolta il suo volto, grazie meravigliose ostenta. Liana De Luca |
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