Cose di altri
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Prefazione Il carattere laborioso della poesia di Paolo Bezzi emerge già dall’immediatezza segnaletica della sua calligrafia. Quest’ultima è congegnata quasi come un progetto informatico, con deviazioni, inserimenti, sostituzioni, agganci, sinapsi, riscritture: Paolo Bezzi ha un criterio di rappresentazione del pensiero che funziona quasi per icone lessicali, cioè immagini di parole ovvero di formule espressive ovvero di locuzioni. Il titolo stesso della raccolta, cose di altri, è una locuzione metaforica che esprime qualcosa in più e qualcosa di diverso dal significato letterale dei vocaboli. Lo scrittore diviene un chimico che parla per formule. Qualcosa di questo genere, anche se con esiti totalmente diversi da rendere impensabile che Bezzi lo abbia assunto a modello, aveva teorizzato André Breton con le sue tesi sul surrealismo e con le sperimentazioni riguardanti la scrittura in libertà, che portavano a usare le parole in un senso traslato rispetto al loro significato lessicale canonico, come se esistesse una dimensione del pensiero umano capace di intendere e di fare funzionare una realtà superiore rispetto a quella che solitamente si impone nel rapporto ordinario delle cose. Potremmo dire: cose di altri, appunto, per indicare un’appropriatezza della logica che trova la sua scaturigine esplicativa in un riferimento prospettico posto al di fuori del campo visivo praticabile. Sandro Gros-Pietro |
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