Dolce mio assenzio
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PREFAZIONE L’ultima raccolta di Nedo Soldaini: Dolce mio assenzio, sin dal titolo evoca quasi programmaticamente la struttura antitetica della silloge poetica, tutta giocata sulla raffinata e al contempo sofferta contrapposizione di due opposte realtà esistenziali, che si inverano e si superano dinamicamente. Il riferimento all’assenzio non è per nulla casuale, ma implica una precisa conoscenza simbolica di quanto si vuole significare: il termine, infatti, deriva dal greco apsinthion – formata dall’alfa privativo che va a negare il sostantivo psinthion – e va a indicare un qualcosa che non reca diletto; mentre il nome ebraico dell’assenzio deriva da una radice che significa “esecrare”, ed il Deuteronomio pone questa pianta tra i veleni. Dal punto di vista simbolico, poi, l’assenzio rappresenta il dolore sotto forma di amarezza, e soprattutto il dolore causato dall’assenza. Sulla base del riferimento all’Apocalissi giovannea, secondo la mortale amarezza, i filologi J. Chevalier e A. Gheerbrant arrivano a ipotizzare che, a livello analitico, “l’assenzio rappresenti una perversione della pulsione genesica, una corruzione delle fonti, le acque che diventano amare”. Eraldo Garello
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