Da Asclepiade a Goffette
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Nota dell’Autore La versione di un testo poetico, per quanto il traduttore possa essere competente e tecnicamente abile, è sempre qualcosa di diverso dall’originale, perché, in realtà, è impossibile tradurre la poesia in un’altra lingua. Già Dante Alighieri sosteneva «che nulla cosa per legame musaico armonizzata si può de la sua loquela in altra transmutare, sanza rompere tutta sua dolcezza e armonia» (Convivio, I, cap. VII, 14). Per Benedetto Croce «la poesia non si può tradurre né in prosa né in altra poesia», ma la «si può solo ricantare nelle parole dei suoi poeti» (Critica e poesia, in Quaderni della “Critica”, n. 17-18, novembre 1950, p. 220). Secondo Roman Jakobson, in poesia «le categorie sintattiche e morfologiche, le radici, gli affissi, i fonemi […], tutti gli elementi costitutivi del codice linguistico […] sono messi in relazione di contiguità […] e diventano così veicoli di un significato proprio»; e poiché la somiglianza fonologica e la paronomasia regnano nell’arte poetica, «la poesia è intraducibile per definizione», mentre sono possibili solo «la trasposizione creatrice» dentro la stessa lingua (da una forma poetica a un’altra) o tra lingue diverse e «la trasposizione intersemiotica da un sistema di segni ad un altro» (Saggi di linguistica generale, traduzione di Luigi Heilmann e Letizia Grassi, Milano, Feltrinelli, 1972, p. 63 s.). |
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