Una scuola di ricordi
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Nella sua città natale, Orlati dipinge un quadro rappresentativo della gioventù torinese degli anni Ottanta e Novanta. Studenti di scuola superiore dell’ultimo corso trascorrono con gaiezza spensierata la fine della loro carriera scolastica senza altri pensieri per il capo che prendersi beffe dei sopraccigliuti insegnanti o fare comunella con quelli più democratici e aperti; intessere beghe fra loro, con vicende di piccole gelosie o di tormentosi pettegolezzi e di altre rivalità. La deformazione del reale, così tipica dei giovani, è riflessa anche nel vezzo di chiamarsi con soprannomi: Ghiacciolo, Pasticcino, Magliarosa, Calimero, Scricciolo e altro ancora. Ma il desiderio di proiettarsi nel mondo degli adulti e di vivere le avventure dell’amore giunge fino a concepire delle situazioni proibite ai limiti della licenziosità e del vizio, e conduce la Rossa a sbilanciarsi in un abboccamento pericoloso con il prof Venturi, ammirato insegnante, concupito da gran parte delle ragazze più frivole della scuola, perché ritenuto un “gran figaccione”. Fino a quando il gioco della seduzione minaccia di trasformarsi in un’amara tragedia personale e sociale di paternità disattesa, solo allora il richiamo alla ragione e alla buona coscienza permette di ritrovare l’orientamento dei sentimenti e dei doveri. Fa da sfondo una Torino smagliante e luminosa, rappresentata in alcuni degli scorci più caratteristici e affascinanti: Piazza Castello, la Gran Madre, Via Po, la Galleria d’Arte Moderna, il Parco del Valentino, le isole pedonali della Crocetta e tanti altri angoli di una delle più belle e nobili città italiane, in cui i giovani, benché invasi da successive ondate di immigrazione, non hanno perduto il gusto di farcire con frequenza il loro linguaggio alternativo con frequenti incursioni nel dialetto piemontese. Sandro Gros-Pietro |
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