Un mondo di stramberie
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Prefazione Il racconto poetico di Mario Rondi, nell’accumulo degli anni e nel rinnovarsi delle forme, è tuttavia rimasto fedele alla nozione giocosa di una surrealtà che nello sviluppo della vicenda si trasforma via via e infine decade in perdita, caduta, disinganno o rinuncia: dietro l’angolo di ogni viaggiatore che si muove nei versi del Poeta si trova la sorpresa della malasorte cui alla fine dei conti dovremo cedere il nostro tesoretto di piccoli averi o semplicemente il fagotto delle speranze. La farina finisce in crusca, la ricotta cade per terra e il sogno si trasforma in smacco. Non vi è nulla di tragico nelle sconfitte che il Poeta racconta, perché si ricomincia sempre da capo con un nuovo sogno, un’altra divagazione. C’è sempre un nuovo giorno, c’è altra conquista da realizzare, altro piacere da concupire. Walt Disney è stato maestro nell’invenzione del cartone animato di Zio Paperino che è un perdente cronico e che nello stesso tempo è assolutamente invincibile: la sconfitta lo perseguita, ma non riesce mai a scalfirlo. In verità, la passerella di personaggi di fantasia inventati da Mario Rondi – la signora Morbillo, il signor Cornetto, la signora Filomena, il conte Rotoloni e tanti altri spettri creati dall’inesauribile penna dello scrittore – sono dotati di uno spessore di umanità che li distingue da qualsiasi altro pupazzo appartenente al mondo dei cartoni animati. Siamo di fronte ad autentiche metafore rappresentative di altrettante tipologie umane. Una soffusa atmosfera di melanconia si mescola alla gioiosità faccendiera di questa popolazione in perenne e disastrosa alacrità di intenti, di manovre, di tentativi, che finiscono in rovina. Lo scorno è sopportato come una resa dovuta alla fatalità avversa eppure anche familiare, quasi bene accetta. Tanto, si ricomincia di nuovo con una pagina bianca e un’altra storia. Questo atteggiamento la dice lunga sulla filosofia che Mario Rondi vuole trasmettere come messaggio subliminale della sua poesia: non si è chiamati al mondo per realizzare alcuna conquista, perché non c’è proprio niente da conquistare. Si è chiamati al sogno, alla costruzione di un programma, all’attesa di un progetto, alla maturazione delle speranze. Però, l’equilibrio delle cose sarà comunque un arbitrio incontrollabile rispetto alle nostre capacità di essere efficaci. La discrasia tra ciò che si sogna e ciò che si ottiene crea un sentimento di malinconia e di accettazione, ma anche un compiacimento divertito, filosofico, consapevole nell’osservarci come personaggi tanto operosi quanto inefficaci. È una gaia malinconia. È un’ironia che quasi sfiora la comicità della torta in faccia, del capitombolo per strada, del rotolamento per le scale: c’è disdetta e accettazione per il gesto infelice e per la gioviale convinzione di averlo compiuto, averci provato, come chi dicesse “se fai, va a finire che sbagli, ma se noi fai, vivi invano”. Questa conciliazione filosofale, se non filosofica, con l’errare umano è il succo fondamentale della poetica di Mario Rondi: il Poeta insegna la bellezza dell’errore. Si potrebbe anche correggere l’espressione con l’uso del verbo: la bellezza dell’errare, che ci rende meglio il concetto del viaggio, del cammino che si compie, il raggiungimento di mete impreviste, non volute, forse contrarie ai nostri intenti eppure felicissime, come di chi voleva andare in India e invece finisce in America. Bisogna saperlo accettare. Farsene una ragione e passarci sopra. Sandro Gros-Pietro |
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