Più non nasce il suo canto fra le spighe
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Postfazione Siamo di fronte a una miscellanea ovvero a un centone che raccoglie poesie, pensieri, notizie, citazioni, brani narrativi su argomenti diversi, ma tutto sommato convergenti su un tema egemonico, che è quello della condizione della donna nell’epoca attuale. La memoria corre immediatamente allo Zibaldone di pensieri – più brevemente indicato col solo vocabolo Zibaldone – di Giacomo Leopardi. Il genere letterario è quello del Recanatese una traccia di pensiero poetico – ma le differenze sono tante, anche se principalmente riconducibili a due: Leopardi scrive lo Zibaldone quasi esclusivamente in prosa, sia pure con inclinazione poetica, e il suo argomento egemonico è la trattazione egotica della felicità e del suo contrario nella condizione atemporale dell’uomo, nella vasta significazione di umanità, includente uomini e donne. Maria Ebe Argenti, invece, scrive con una netta prevalenza in poesia rispetto alla prosa, mentre il suo argomento egemonico è la denuncia della condizione di violenza fisica che la donna tuttora subisce nella civiltà occidentale, ma non solo in quella, bensì in ogni altra parte dell’azzurro Pianeta. Tuttavia, sarebbe una faciloneria fuorviante includere questo bel libro di Poesia – che sarebbe più corretto chiamare prosimetro, vista l’inclusione di molte parti in prosa – all’interno della cosiddetta letteratura femminista. Quest’ultima, infatti, è caratterizzata da una rivendicazione di specificità decisamente femminile e spesso è contrassegnata da un rancore o addirittura da un livore generalizzato rivolto alla generalità degli uomini, in quanto maschi molesti e approfittatori delle grazie della donna. Non è questo il caso di Maria Ebe Argenti, cui interessa mettere a fuoco l’urgente necessità di realizzare le condizioni di parità e di mutuo rispetto nell’armonia e nella reciproca grazia tra uomo e donna per ottenere un reale progresso di civiltà a vantaggio di tutti. Non finirà mai il medioevo e non arriverà mai la civiltà edenica del paradiso terrestre finché non cesserà per sempre questa ottusa e violenta sottomissione della donna alla prepotenza fisica e psicologica dell’uomo. Si tratta di una sottomissione che non è prevista dalla nostra religione, anche se poi è stata avvallata indirettamente – e talvolta anche direttamente – dalla stessa Chiesa cattolica. Nel libro biblico della Genesi, infatti, Adamo ed Eva convivevano in armonia e in piena parità, anche se dovendosi decidere se fosse nato prima l’uovo o la gallina – fuori di metafora, dovendo decidere se era stato generato prima l’uomo o prima la donna – la Bibbia pensò di attribuire la priorità all’uomo e di fare derivare la donna dal corpo di lui, come se ne fosse stata quasi la figlia. Ma una volta superato lo scoglio iniziale e mitologico della creazione dei sessi, che in un qualche modo andava affrontato, ecco che il libro sottolinea come tra Adamo ed Eva corresse unicamente un rapporto di intesa amorevole e paritaria, basato sull’assoluta condivisione di un destino e di una condizione quotidiana comune. Qualsiasi ideologia o utopia di civiltà umana, di conseguenza, se tendesse a ricreare le condizioni del paradiso terrestre, dovrebbe porsi come primo fondamento questa intesa di collaborazione amorosa tra l’uomo e la donna, che è descritta nella Bibbia: un legame sinallagmatico a tale punto forte, da prevalere addirittura nei confronti della devozione delle due creature verso il loro Creatore: per Adamo ed Eva conta di più il legame fra loro due che non il legame con il Creatore, e per questo motivo vengono scacciati insieme dall’Eden. C’è, dunque, questa memoria biblica nella mente della Scrittrice, che la conduce a concepire il progresso solo in termini di attuazione delle condizioni di perfetta parità e intesa tra uomini e donne. Si badi bene che l’Autrice parla sempre di “Uomo” e di “Donna”, e non già di “maschio” e di “femmina”, proprio per sottolineare che la specie umana non è solo un prodotto biologico della natura, ma è anche un risultato raggiunto artificialmente dalla cultura, dall’esperienza, dal tesoro di conoscenza e di riflessione che uomini e donne hanno elaborato insieme nella temperie dei secoli per divenire ciò che sono oggi. Ciò spiega il fastidio con cui la Scrittrice critica il termine “femminicidio”, perché chi uccide una fanciulla o una vecchia, non si limita ad ammazzare una “femmina”, ma addirittura sopprime una “donna”, che è ben di più un organismo biologico, essendo anche il prodotto di una cultura perfezionata in circa un milione di anni di evoluzione della specie cui appartiene. Se proprio si volesse distinguere, dunque, occorrerebbe parlare di omicidi per gli uomini e di donnicidi per le donne, e non “femminicidio”, che, secondo il parere dell’Autrice, è termine riduttivo se non spregiativo. In verità, si potrebbe obbiettare che “femmina” in luogo di “donna” è più che altro un’accezione dialettale, molto in uso nel Sud d’Italia, impiegato senza alcun intento diminutivo nei confronti della donna. Totò, addirittura compose quel capolavoro di canzone napoletana intitolata “Malafemmena”, che vorrebbe semplicemente dire “donna crudele”, ma tradurre malafemmena in donna crudele sarebbe un totale fraintendimento, anzi quasi un insulto per un napoletano come Totò, perché la “donna crudele” è un mostro criminale, mentre la “malfemmena”, invece, è un dono di Dio, che “n’un se po’ chiu scurdà”: potenza epistemologica dei dialetti! Sandro Gros-Pietro |
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