L’artiglio del diavolo e la rosa canina
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PREFAZIONE Sempre più la poesia di Lorenzo Piccirillo è andata affermandosi come attività gestuale di rottura con la tradizione poetica sia del recente passato sia dei periodi antecedenti. Piccirillo è andato discostandosi dall’imperante moda modernista e post-modernista, che avevano a loro volta interrotto il filone della tradizione poetica occidentale collocabile all’interno del decadentismo. Il movimento modernista si è imposto attraverso la lezione di Ezra Pound e di Thomas Stearns Eliot che teorizzarono la frantumazione della complessità armonica e concertistica del discorso poetico e predicarono la sopravvivenza delle “rovine del linguaggio” della poesia. Tali relitti o reliquie di poesia hanno poi dato luogo, nei versi dei post-modernisti, a forme di linguaggio ibrido ottenuto dall’incrocio di modi, stili e lingue letterarie diverse e coabitanti all’interno di uno stesso testo poetico. Ma la strada di Lorenzo Piccirillo, che pure si colloca su questo versante di avventura letteraria, è sostanzialmente diversa, perché collima a un traguardo sostanzialmente irriverente del discorso poetico, anche se espresso con una tensione drammatica di altissima intensità. La rottura consiste nell’atteggiamento di attrazione e contemporaneamente di repulsione che la poesia suscita in lui. Si tratta di un odi et amo alla maniera di Catullo: “Odio e amo: perché lo faccio, ti chiedi? Non so, ma so che cosa succede: sono crocifisso all’odio e all’amore”. Catullo si riferiva a Clodia, soprannominata Lesbia. Ma l’amore tradotto in versi diviene sempre una metafora di qualcosa che trascende l’eros e si inoltra in un viaggio di lontane metafore che stanno dietro alle parole. Questo è quanto accade, con piena consapevolezza dell’intrico, a Lorenzo Piccirillo e alle sue poesie, nelle quali si riscopre una fortissima tensione d’amore per uno “schermo” di donna che si fa “amare e odiare” come succedeva a Catullo oltre duemila anni or sono. Ma si innesca subito, dietro alle parole, un percorso franto tortuoso irto d’ostacoli di rimandi di deviazioni e rinvii che conduce all’intricata selva della letteratura e ai suoi mille significati reconditi e contrastanti. Scrive il poeta: “Voglio gioire del dolore provocato / dalle tue dita incastrate / nell’intimità della mia inquietudine”. Si tratta di una splendida descrizione dell’atto di dolore e di gioia, conficcato nella carne, che il sentimento di legame suscita e che bene pochi poeti sono riusciti a esprimere in modo così efficace come ha fatto Piccirillo. Catullo aveva usato quel celeberrimo termine metaforico rimasto intraducibile, “excrucior”, che solo molto lontanamente è reso dal senso del nostro “essere messo in croce”. Sandro Gros-Pietro |
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