Gli echi tutelari di un Reziario
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PREFAZIONE L’atmosfera votata all’ironia e al sarcasmo, con frequenti aperture verso il grottesco e con trionfi della bizzarria per l’anormale e il deforme, negli anni, ha finito per divenire il tratto caratteristico di questo valido e fecondo autore nativo di Capua, tra le più antiche e guerresche città d’Italia: Lorenzo Piccirillo, che anche nella vita comune veste l’abito del soldato scelto, in quanto ricopre incarichi di comando presso l’arma dei Carabinieri, è concittadino di Ettore Fieramosca, il capuano che vinse la celeberrima disfida di Barletta, ove rimase per sempre ridicolizzata l’arroganza francese, piegata dal valore cavalleresco dei napoletani. Anche la titolazione di questo quarto delizioso libro di poesie, Gli echi tutelari di un reziario, non lascia equivoco circa la focosità gladiatoria del nostro poeta. Ma chi ha la fortuna di conoscere Piccirillo, sa che è difficile trovare persona dal tratto più gentile e conviviale di lui, scrupoloso negli impegni, delicato nei sentimenti, premuroso nell’attenzione rivolta ad amici e ospiti, gentile fino ai limite della cerimoniosità con i conoscenti. Anche da questo contrasto esistente, tra le infuocate dichiarazioni poetiche e le flautate espressioni di vita, deriva una giocosa irrisione rivolta a se stesso e al mondo circostante che si risolve in un invito a sapere sorridere davanti ai drammi insensati della vita. Chi scrive si ricorda di avere avuto modo già in passato di richiamare l’attenzione del lettore sul fatto che “il ricorso all’ironia e talvolta anche al sapiente gioco di parole non deve autorizzare a credere che l’atmosfera delle poesie sia ilare”. Anche in quest’ultimo libro, infatti, non vi è un clima di allegra gaiezza nei versi, ma semmai, al contrario, di asciutta melanconia e fino di rancoroso risentimento per qualche occasione di malasorte amorosa occorsa al nostro fiero combattente. Ciò accade, in quanto Lorenzo Piccirillo è consapevole che l’ironia più fonda e graffiante è quella che nasce come commento della malasorte e non già come esplosione fragorosa in situazione di gioia. Anche Cervantes, probabilmente, doveva pensarla come Piccirillo se è vero che l’ingegnoso hidalgo non ride mai né di se stesso né delle circostanze comiche in cui s’invischia, ottenendo grazie alla sua marcata serietà di rendere irresistibile la carica ironica del personaggio. Anche Piccirillo ci presenta nelle sue pagine un eroico cavaliere sfortunato in amore. Forse, per stare dentro la metafora proposta dal poeta, dovremmo dire che si tratta di un gladiatore e non di un cavaliere: l’amore come spettacolo circense, dunque, con tanto di rete e di forcone, armi d’ordinanza del reziario, e con una tunichetta a gonnellino che è l’unico vestito di scena. C’è, dunque, un beneficio di facili metafore erotiche che rete e forcone possono indurre nella mente del lettore, e c’è anche quella sottana corta del combattente, che necessariamente esibisce le pudende, e che ci sta a significare quanto viscerale sia ogni pugna d’amore. Sandro Gros-Pietro |
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