Alchimie di ricomposizione
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PRESENTAZIONE La scena del mondo nella Poesia di Livio Bottani torna a essere l’orizzonte degli eventi sia umani sia cosmici, con una progressiva evanescenza dell’Io poetico, le cui insistenti peregrinazioni hanno caratterizzato la poesia del Novecento e hanno invaso come alghe asfissianti anche i poeti del nuovo Millennio, per cui sappiamo di ognuno di loro come sorbisca il caffè alla mattina, quali calzini indossi, se sia omofilo od omofobo, se si sposti in treno o con l’automobile, se soffra di emorroidi o se patisca altri malanni, più o meno pestiferi. A tutti noi contemporanei è toccato per viatico una bisaccia poetica da ebreo errante: una poesia che è tipica dei “poeti senza cielo”, come è stata brillantemente definita dallo scrittore Menotti Lerro. Il cielo, per i Poeti, ha da sempre svolto la metafora del sentimento di comunità, di cui la Luna e il Sole sono i due massimi simboli rappresentativi. Due innamorati, separati momentaneamente dalla distanza fra loro, si danno il comune appuntamento in un’ora della notte a osservare la Luna per collimare l’unione dei loro sguardi sull’identico obbiettivo. Similmente, i poeti hanno sempre individuato tante differenti nozioni di cielo da offrire alla comunità come approdo di osservazione su cui collimare la vista, e ne hanno descritto le emozioni e i sentimenti. Nasce in tal modo l’educazione all’alto sentire della poesia: indicato dal poeta, c’è sempre un cielo che sovrasta il destino condiviso da tutti gli uomini e su di esso il poeta esprime la gioia e il dolore di uomo consapevole della sua brevità. Quando questo cielo diventa il tran tran quotidiano dell’intimità, diviene quasi impossibile fondere nobilmente il proprio sguardo con altri, rivolgendolo alle pudenda altrui. Per il lettore non resta altra scelta che quella di adeguarsi al chiacchiericcio da comare, fatto di curiosità e pettegolezzo. La poesia esprime allora l’opzione per un cielo basso, quello contenuto nella stanza del cantante innamorato della sua bella, sarà al massimo il cielo dell’alcova e forse neppure quello, che già sarebbe il sogno fantastico di mille e una notte. Tuttavia, fino dall’antichità siamo abituati alla ricostruzione in chiave poetica di un’autobiografia per capisaldi emotivi, come hanno insegnato i Neoteroi, massime Catullo, nonché i poeti satirici, magistralmente Orazio, e non solo loro. Anche Livio Bottani, fra le svariate sponde dei suoi diversificati continenti poetici, presenta un arcipelago di cosiddetta autobiografia poetica, nella quale si evidenziano ricordanze di carattere leopardiano circa la superficialità dei rapporti non intensi trattenuti con i genitori, ma anche il percorso di formazione tra montagne di libri, e il magistero ricevuto da più di un mentore. Non è data notizia di pudenda confessate con il compiacimento di esibire l’intimità domestica, anche se non si nega qualche accenno al chagrin d’amour dure toute une vie ovvero al plaisir ne dure qu’un moment, come bene insegna l’antica romanza di fine Settecento. La prima sezione del libro si intitola Sulla realtà ed è un ricco compendio tra il mito, la realtà, le vite immaginarie, la realtà virtuale, il mito della bellezza e l’illusione del Principe Miskin di Dostoevskij, dove si leggerà che al posto della bellezza l’azione salvifica sarà svolta dalla bontà e dall’amore, con la riserva mentale, a ogni buon conto, che l’amore sviluppa una resistenza debole, parallela al pensiero debole del filosofo Gianteresio Vattimo. Bottani svolge il tema che per possedere una visione ricca del reale abbiamo bisogno anche dei sogni, come abbiamo bisogno di sviluppare la restanza, concetto che ritroviamo anche in Vito Neti, Un’antropologia del restare. L’arsura della felicità è il dramma reale di ogni essere umano: si legga al riguardo Candela, Felicità, Felici e scontenti e altri testi. Alchimie di ricomposizione è la rappresentazione dello stato di necessità in cui versa la cultura occidentale, nell’attuale periodo post-pandemico, con particolare riguardo alla condizione dell’Italia, che è un Paese significativamente bello quanto fragile e influenzabile da eventi radicali e da cambiamenti drammatici. Livio Bottani espone con chiarezza la condizione di frantumazione sia della logica ordinaria sia delle elaborazioni complesse del pensiero scientifico e di quello filosofico umanistico. L’immagine che risulta è quella di una nave che si trova con un carico flottante dentro la stiva, non stabilmente ancorato alle pareti. Ciò avviene nel momento in cui ci si rende conto che la nave potrebbe affrontare un’immanente tempesta, quale il perdurare della pandemia congiuntamente al protrarsi della guerra in atto all’interno dell’Europa originata dal revanscismo russo di ampliamento dei suoi attuali confini territoriali. Livio Bottani denuncia subito quali siano i maggiori pericoli da cui guardarsi: il ritorno dell’eterno uguale nietzschiano, con la ricostituzione di organizzazioni neo fasciste e neo naziste da una parte contrapposte al consolidamento su scala mondiale di un’alleanza di Paesi guidati da dittature comuniste. In una simile situazione ciò che soffrirebbe di più sarebbe ancora una volta la cultura nella sua generalità, come luce della ragione capace di rendere l’uomo libero dai suoi fantasmi grazie al perseguimento della verità e della realtà. Un poeta non è il politico che elabori il piano programmatico da seguire per mettere a posto le cose. Diciamolo in metafora: non tocca al poeta ancorare il carico nella stiva e affrontare nel migliore dei modi il fortunale che si presenta, senza fare la fine della fregata francese Meduse. Bottani si limita a raccontare e descrivere i suoi sogni e i suoi incubi di studioso e di letterato, e ce n’è ben d’avanzo per tutti onde trarne i suggerimenti per un’alchimia di ricomposizione della nostra fase storica. Sandro Gros-Pietro |
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