La margherita della protesi
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Prefazione Liana de Luca, nel suo espansivo eremo culturale, sicuramente rappresenta una delle voci più significative della poesia italiana, declinata al femminile, lungo la dorsale degli ultimi sessant’anni della nostra storia letteraria. A principiare dagli epigoni dell’ermetismo di quasimodiana e luziana memoria, per giungere fino all’attualità poetica, così incline alla diaristica spicciola e alla ruminazione cronachista, la lettera poetica di Liana de Luca ha percorso una sua chiara e indipendente evoluzione lungo l’arco dei dodici lustri – come gli apostoli e come i mesi dell’anno! – che è riassumibile nel beneamato e bene marcato emblema poetico, che la contraddistingue come fosse un’icona, creatura d’acqua libera in esilio. Si tratta quasi di un motto nobiliare, come del resto sono le sue origini di famiglia, ma che potremmo anche considerare in luogo di una definizione antonomastica: è l’endecasillabo madre che trasmette il suo DNA all’intera e originalissima opera deluchiana. Innanzitutto perché è un endecasillabo, cioè la misura regina dell’espressione poetica nei secoli di questa lingua dei poeti, per eccellenza e per eccezione, che è l’Italiano. Ma ancora di più perché esprime il triangolo magico della concezione poetica della scrittrice: la creatività, la libertà e l’esilio. Sono proprio i tre elementi più importanti e costituenti la materia grezza del suo mondo poetico, così come l’idrogeno, l’elio e l’ossigeno sono i tre elementi che da soli rappresentano il novantanove per cento della materia grezza dell’universo. L’universo, in realtà, è composto da una infinita temperie di elementi chimici differenti, ma che riuniti insieme, come ci insegnano gli astrofisici, costituiscono l’uno per cento della creazione, perché il novantanove è costituito dai primi tre che abbiamo nominato. Non funziona diversamente Liana de Luca: anche lei ha tre fondamenti, come l’universo che ci contiene, affiancati da una temperie indeterminata di altri costrutti letterari, dai più nobili ai più negletti, ma che riuniti insieme rappresentano uno scamuzzolo rispetto al grande sogno interpretativo che si è consustanziato nei primi tre. Sandro Gros-Pietro
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