I cacciatori dell’oro
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PREFAZIONE La poesia di Giuseppe Veneziano sviluppa una tendenza fluviale fra le opposte sponde della visionarietà, da un lato, e della affettuosa affabulazione dall’altro lato, con risoluzioni anche repentine d’orientamento, con capacità inusitate di mutazione dei registri, dei volumi, delle profondità, a riprova di un’inquietudine interiore che si estrinseca nel disagio verso le forme e, in particolare modo, verso la magniloquenza del dire a cui si oppone un’istintiva vocazione alla frantumazione della misura dei versi e una martellante frequenza di fratture, di iato, di salti della ragione, orientata a procedere ira fascinazioni e intontimenti, per rosari di immagini, grani autonomi eppure connessi, distinti eppure uniti da un unico cosmico progetto di poetica dell’anima. C’è sempre una traccia di attualità e di quotidianità ovvero c’è sempre un reperto simbolico e una testimonianza inoppugnabile tratta dalla vita, ma da cui si sviluppa, con vivezza coloristica, una straordinaria catena di immagini, per lampi, per abbozzi, per rivelazioni, per interferenze, per connessioni anche volutamente scoordinate a riprova degli impedimenta che l’anima sconta nel doversi impicciare con la lentezza garbugliosa e ambigua della parola, la quale stenta a districarsi in quelli che in realtà sono gli "immoti percorsi" della poesia: i legami eterni che affondano le loro radici nel mito e nel mistero. Il carattere di fluvialità del discorso poetico è l’elemento più scopertamente moderno e attuale della poesia di Giuseppe Veneziano: il discorso assume una straordinaria ampiezza e un’imponente portata massiva che fluisce e slarga indefinitamente nella pianura dell’esistenza, della cultura, della letteratura, della vita: insomma, del tutto. Non c’è assolutamente più un’ipotesi di linguaggio della poesia, settore distinto ed organizzato del dire, di cui siano date e stabilite sia le forme sia i contenuti. Ma c’è al posto una poetica dell’anima, che informa di sé ogni espressione e ogni contenuto possibile. Ne deriva una grande freschezza visiva di situazioni nuove alla tradizione poetica, sovente rappresentata con movenze prosodiche originali, retrattili e ricoverate nell’ammiccamento di un cenno appena proposto eppoi eluso, mentre il discorso sciala tra sogni, confessioni, affabulazioni, quadretti descrittivi di mezze figure, nell’anonimia dei personaggi ordinari ‑ un sarto, una casalinga, una bimba, una presentatrice televisiva, un vecchio e altri comuni individui ‑, trascinati dall’imponente portata rappresentativa del dire e sgranati sul filo di una saggezza immaginosa e contemplativa, ma anche capace di trascendere nella dolcezza luminosa e inventiva della visionarietà. Il riscontro secolare è ovviamente fornito dal fondale scenico sul quale si sviluppa la narrazione poetica, ed è quello del mondo contemporaneo, capace di imporre a tutti il disagio e il rovello della vita metropolitana, consumata nella monotonia ripetitiva delle stesse azioni, trapuntata di ambizioni impedite e frustrate, avvelenata dalle costrizioni e dai divieti degli alveari urbani, cementata nel pulsare di immagini falsificanti e mendaci. S’aggiunga che su questo solenne fiume di parvenze galleggiano anche i detriti grotteschi di una tradizione letteraria ormai dispersa, baroccheggiante e dannunzianeggiante, che Giuseppe Veneziano evoca ‑ talvolta fino con colpevole complicità, quasi con nostalgia ‑ e che è rappresentata dai viluppi espressivi resi in parodia aulica, ma che, infine, bene assolvono all’economia complessiva del discorso, perché lo affrontano anche in chiave di autonomia linguistica e letteraria e istituiscono un confronto con la passata tradizione poetica.
Sarò io
La raccolta è scandita in tre sezioni, Trenta novembre, Tra sogni e roghi e In apnea di visioni. Anche nei titoli vi è quel tanto di furore e di melanconia, mirabilmente miscelati insieme, da ricreare un’eco vaga del periodo storico della letteratura, che si pone a cavallo tra futurismo e crepuscolarismo. Le sezioni non sono profondamente distinte né per i contenuti né per la cronologia delle date di composizione, ma, pur nella contaminazione e nella commistione dei valori, è possibile attribuire alla prima sezione un’atmosfera di maggiore stasi dell’anima, quasi di indolenza, con l’indugio su diafane visioni di sogno, sovente fino plumbee perché raffiguranti il grigiore e la monotonia della quotidianità che conduce all’esaurimento e al prosciugamento delle fonti, nell’incontentabilità dei desideri:
E il toretto sta lì, di acqua solo un desiderio
Eppure, in questa stessa prima sezione sono mosse anche le corde dei ricordi, dell’adolescenza, come in Era falso, ed è presente la mozione degli affetti familiari, come in Papà. Infine, il discorso talvolta si arricchisce, con sorprendente cambiamento di registri poetici, e si riveste di giocondità visionarie e verbali, costruite con rime e con assonanze imprevedibili, come è in Fontane di smalto.
Tu sei scomparsa
Nell’ultima sezione, In apnea di visioni, si sviluppa più compiutamente l’allegria creativa, la ricchezza delle impressioni, la differenziazione degli interessi storici, culturali, sociali, politici, insieme ad una fitta esplosione di metafore, tale da tracciare un narrato espresso per simboli fantastici ed evanescenti, nell’evaporazione dei significati, in un’epifania di sensazioni sorprendenti:
I cacciatori dell’oro
I versi di Giuseppe Veneziano puntano a svelare una dimensione alternativa di saggezza e di gnomicità che non risiede nei modi e nei metodi della ragione, ma che si appropria della realtà ricostruendola, anzi trascendendola, attraverso la libertà dell’immaginazione affrancata da ogni regola di costrutto e di comportamento prestabilito. Solo la giocondità del ragionamento fantastico è capace di riscattarci dall’insopportabilità terrea e terragna della nostra condizione di uomini limitati e schiavi di bisogni, di abitudini, di legami, di vizi, di falsità che ci avvelenano con puntigliosa pusillanimità le giornate e ,al contrario, di aprirci l’anima ad uno spiraglio di luce, ad una pepita in una noce e, parafrasando il titolo del libro, può renderci i cacciatori dell’oro. Sandro Gros-Pietro |
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