Figli del vento
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INTRODUZIONE Si percepisce immediatamente, alla prima lettura, in Figli del vento di Giuseppe Ruggeri, insieme con il tono inconfondibile di una voce poetica nuova, suadente, modulata dentro un ricchissimo caleidoscopio di ritmi, immagini, colori, la limpida vocazione dell’io poetante a trascendere i dati della greve realtà quotidiana (pure squadernata nella sua atroce invadenza) e i limiti della nuda psicologia individuale, nel tentativo inesausto di andare oltre l’apparente e il déja vu, alla ricerca di ciò che è proprio dell’uomo: quell’anelito di infinito – si direbbe – che lo eterna, di fatto. *** Si veda come già nel primo poema della prima sezione (Parole) sia perfettamente adombrata, in forme luminose ed armoniche, l’eterna vicenda della «nuda presenza dell’uomo» che «tende» a «cieli / aperti […] / a cime lontane lucenti/ […] ad aquile di pensiero / […]», restando tuttavia «perplessa / se cogliere l’attimo come / insegna l’aurea mediocrità / o farsi afferrare dal guizzo / che supera qualsiasi barriera» / Perciò – senza soluzione di continuità – l’uomo «trascorre così nell’eterno / ondivago esserci e non esserci». Giuseppe Rando |
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