Scampoli
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Prefazione Dopo migliaia di anni che hanno prodotto un incalcolabile numero di opere poetiche non siamo riusciti ancora a trovare una risposta convincente e univoca all’interrogativo ‘cos’è la poesia’. Quando qualcuno ce lo chiede rispondiamo descrivendo stati d’animo che la provocano o effetti che la caratterizzano, ma la poesia resta sempre in un alone misterioso, pur accompagnandoci dalla mattina alla sera, come dice Pavese della morte. A un ragazzo che mi poneva la domanda ho risposto citando i versi dell’Antologia di Spoon River fatti propri da Fabrizio De André nel canto de Il suonatore Jones: “In un vortice di polvere gli altri vedevan siccità; / a me ricordava la gonna di Jenny in un ballo di tanti anni fa”. La mia citazione spostava ovviamente l’accento dalla definizione della poesia alla sfasatura nella percezione della realtà operata dal poeta. Era un modo per eludere una più lunga spiegazione, ma a ben pensarci se l’exemplum citato non porta nulla all’alveo della poesia, è sicuramente valido per il riconoscimento del poeta la cui interpretazione del quotidiano e della storia non è mai neutra e obiettiva. A questo corollario non sfugge neppure Giuseppe Oreto: qui si metterà a fuoco qualche elemento della sua sintassi poetica. il ficodindia antico gialloverde Nell’ultima sonata di Beethoven Il rapporto musica/parola si insinua di continuo (“la parola / trasmigra e si riversa in melodia / sommessa”), ma ugualmente quello della parola con la pittura. Un significato speciale hanno i versi di Guernica da Domina. Oreto si avvale del celebre quadro di Picasso per definire i contorni della creatività del poeta: questi è affacciato alla finestra, “cercando / di costringere in serie di parole / la vita. L’intenzione / è dipingere oltre le apparenze / l’anima delle cose, rivelare / panorami sommersi eppure prossimi”. Il poeta deve mettere ordine nel mosaico nascosto, ricostruire l’unità del quadro, e il disordine apparente di Guernica si presenta come il rovescio della realtà che chi coglie i nessi arcani della poesia deve saper rendere leggibile, perché il suo compito è di arrivare scavando all’anima delle cose, quella che i latini chiamavano substantia rerum. Ma ritorna lo sguardo nella notte Qui non solo è notevole l’intreccio poesia/pittura/musica, un Leit Motiv per Oreto, ma anche i modi con cui le tre arti si combinano, le immagini che veicolano (il poeta è sollecitato dalla tela del notturno con al centro un tavolo sul quale c’è un clarinetto e uno spartito insieme col disegno di uno dei prigioni di Michelangelo per la tomba di Giulio II). Il rapporto di Oreto con Ghersi andrebbe approfondito: forse non è senza significato che anche il pittore messinese prevalentemente presti nei suoi quadri il volto della moglie alle figure femminili. una voce un’immagine un rumore Grande impegno pone Oreto nel definire la semeiotica della poesia. Da Scampoli e dai volumi precedenti non emerge alcuna ars poetica, ma s’impone forte il tentativo di fissare il momento creativo, l’approdo del segno sulla carta, i colori e i timbri che lo accompagnano; la scrittura non è mai agevole (“sopra il foglio martoriato spuntano / sillabe come rovi, dissonanti / cancellate e riscritte, ombra distorta / del desiderio d’incontrarti e amarti”); alla poesia ci si avvicina per approssimazioni progressive col volo alto delle metafore; nel suo nucleo, come in un recinto sacro, non si riesce assolutamente ad accedere. Per questo non è contemplata per il prodotto poetico la possibilità di una traduzione: si può solo recuperare un senso sommario, ma non i tratti autentici di un’intuizione lirica: “vedi i gesti ma perdi il chiaroscuro”. Leggere poesia, in fondo, è quasi È chiaro che qui si stanno facendo i conti con la tradizione. Le formiche non sono che l’allegoria dei poeti che si affaticano nella costruzione dei versi; i loro prodotti contribuiscono al consolidamento della civiltà umana: è la funzione sociale dell’atto poetico che va in prima linea. Il paragone con l’inchiostro per gli animaletti che si compongono e si scompongono a mosaico nello scacchiere delle operazioni provoca un immediato accostamento alle lettere dell’alfabeto che si legano in sillabe e in parole. Movimenti, colori, suoni: nel popolo delle formiche Oreto intravede e tratteggia una compiuta metafora della poesia. Vincenzo Fera |
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