La novazione poetica del mondo

“Sogno e scrittura”:
dalla lirica greca al verso alato di Giovanni Barricelli


In questa densa raccolta di liriche, La novazione poetica del mondo, la permeabilità, tra il mondo classico e la sua trasposizione, costituisce nel tempo un sogno mai interrotto di un continuum, nato da un eterno “sentire”. Barricelli ricalca, con un forte empito creativo, le tracce di alcuni frustuli della poesia lirica greca. È un’immedesimazione empatica, per cogliere le vette inaccessibili del mondo classico e per tradurre, in un verso alato, e, con fine perspicacia ermeneutica, l’universo poetico dei lirici greci: una versione fedele con riusi, citazioni, reminiscenze, accompagnati dall’elegiaco disincanto di una coscienza moderna.
La parola diventa rivelatrice, quando re/inventa slittamenti di senso, alla luce di una nuova visione critica, per idealizzare l’identità della persona umana, in un mondo epico-eroico e mitografico. Ogni frammento è il punto di partenza per una risonanza di significati, che afferiscono ad una “scena onirica” e ad una concezione di un sogno strettamente collegato alle rappresentazioni arcaiche e alle idee archetipiche della poesia, che si liberano nella forma invisibile dell’oltre.
La lirica monodica di Alceo (Mitilene, Lesbo, 630 a.C.), pur non prescindendo dagli echi della vita politica di Mitilene e dalla testimonianza della passione politica dei canti rivoluzionari (στασιωτικά), in Barricelli, viene rivissuta attraverso il poeta conviviale, che invita i commensali a dimenticare gli affanni della guerra e della vita, nell’ebbrezza del vino: «Specchio dell’uomo è il vino, tu mi dirai perché / il beone rispecchia se stesso nel bicchiere / a lui confidando i suoi pensieri. / Lo specchio è questo, e l’anima di lui più nitide / ritrova le sue dune e i deserti ove si disperde, / contrade ancora sconosciute benché insegua / da sempre la ragione». (Sentenze). Il convito diventa un momento centrale, per stemperare le insidie della guerra e alternare all’impegno civile le ore di riposo, ai canti marziali, le gioie dell’amore: «Colui che dimora in capo al mondo / son io son io e il rimpianto scopro / dei lontani addii / promessa del ritorno. / Breve è la via per giungere a te ma / sei come all’estremo confine della / terra». (Lontananza). «Solo che riaccenda il camino ch’era / spento, quando soltanto serbi in queste / sere una panciuta ampolla da cui / disertando va dal grosso ventre il vino». «Solo nel vino è il perfetto oblio, / il rinascere dell’uomo in una pianta, / un filo d’erba, un fiore. / Il giorno è solo un attimo fuggente, / non resta che il brusio del vento, / un’ombra che s’invola, un colore / scoperto e mai raggiunto». Barricelli dà compostezza e armonia al verso, sobrietà e dolorosa nostalgia, quando la costante meditazione sulla sorte umana diventa malinconica tristezza, nei momenti della sconfitta e dell’esilio: «Non spingerti ai cieli infiniti, / il tutto travolge in rovina, il / tutto conduce alla terra, / ch’è aspra, / ch’è fredda e accoglie matrigna / il corpo dolente». Alceo è, pur sempre, l’eroe della vita strenua e bellicosa, rinuncia al suo amor proprio, e, dopo lo scontro al Sigeo, fa sapere ad un amico: «Alceo è salvo, ma le sue armi… gli Ateniesi le appesero al tempio della Glaucopide». La lingua di Lesbo è la matrice della poesia di Alceo, calda e passionale; il suo lirismo attenua le asperità del giambo di Archiloco. In queste liriche di Barricelli convivono lo stadio arcaico delle incubationes e la mentalità “primitiva” dei sogni indotti, attraverso icastiche immagini (èidola), che vengono alla luce, secondo la tecnica dellavisio. Un conglomerato di certezze che potenziano l’identità della cultura classica, perché essa dà risposte rassicuranti e convincenti agli interrogativi angosciosi dell’esistenza umana. Barricelli ci fa ri/vivere, attraverso l’alato verso di Alcmane (sec. VII a.C.), il confidente abbandono, nella quiete della notte; la leggerezza dell’essere, fatta di grazia e fantasia, riesce a tener sospeso il mondo tra sogno e realtà, tra le gioie mondane e la bellezza della natura. Alcmane, autore di leggiadri partenii, nato a Sardi nella capitale della Lidia, ereditò da questa terra la soave mollezza dei costumi; i suoi deliziosi partenii erano canti per voci bianche di fanciulle; sotto la guida dell’autore stesso, maestro di danza e di musica, compose in dialetto dorico, misto ad elementi eolici, liriche per lo più corali (inni e partenii): sono i veri documenti di un fenomeno d’avanguardia che è quello dell’emancipazione femminile e delle gioie mondane, accompagnate dalle preghiere alla divinità. Il lavoro onirico obbedisce ad una “forma di vacanza del pensiero”, secondo C.L. Musatti; una contaminazione di esperienze collegate alle libere associazioni e all’assoluta mancanza di censure inibitrici inficia il principio di non-contraddizione e plaude alla manìa di origine divina, riscoprendo un’interazione tra sogno e follia, estasi e ragione: «Dormono i vertici dei monti e i baratri, / le balze e le forre, / e le creature della terra bruna, / e le fiere che ai monti s’acquattano, e gli sciami, / e i cetacei nei fondi del mare lucente. / Dormono le famiglie degli uccelli, / fermo palpito d’ali». (La Notte). Barricelli ri/vive empaticamente la mesta elegia dello stato d’animo di Alcmane: «La mia anima viva ed io che vivo e / solerte e insonne a scrutare l’infinito / avvolto nella nebbia, inseguendo i passi / delle stirpi che alleva l’universo, / […] Dormono il loro sonno aggiogato dal / silenzio, in esso mi approssimo e confondo / e senza volto precipito nel gorgo ove / trascorre la natura pure essa soffocata / di stupore».
Invita noi tutti a intonare un leggiadro canto o a muovere, ad un piede stanco, un passo di danza: «Più non reggono le membra, fanciulle / dal canto soave e dalla voce chiara, / io non posso aggiungere la mia ai vostri cori, essa non più che un lieve / sussurro è sepolta nella gola. / Potessi almeno seguire i vostri passi / nella danza, ohimé, più non reggono / le membra e le ginocchia tremanti. / […] Come vorrei anch’io muovere le ali / e sull’onda gareggiare con gli alcioni, / come l’uccello sacro di viole». Le grazie delle giovani fanciulle non passano inosservate all’occhio del poeta: «Vestita d’una tunichetta bella, in che / copriva le bellezze di furtivi evviva, / un mistero soffuso sulle grazie nascoste / viatico che ispira il cammino proibito, / cui il muovere di membra è già un invito / a tentare la chiave perché ceda». (L’abituccio).
[…]
In versi anapestici, anche la gioventù valorosa, a buon diritto, diventa un modello etico-militare. Tirteo (sec. VII a.C.) incita a combattere per la patria: un poeta soldato, la cui ἀρετή non ha eguali è degno di ammirazione nei secoli, quando canta che è «bello è il morire all’uomo valoroso in mezzo a le prime / file cadendo, mentre pugnasi per la patria». I suoi versi, letti nei conviti marziali, danno un’impronta personale alla poesia patriottica, vibrante di sincero amor di patria. Barricelli ci presenta questo poeta soldato con «un cuore di leone fulvo in petto» e che «prima di morire» «attinge virtù». Anche Callino, poeta elegiaco del periodo ionico, richiama i giovani alla difesa della patria, perché soltanto il valore in guerra è degno degli dei: «Come una mandria di bufali, folta di zoccoli / e di corna, battono il tamburo sulla terra, / assordano la bella regione, non filo d’erba / o un fiore poiché l’orda transita e percorre». (Allarme). Il verso alato di Barricelli, nel sapiente gioco dei rinvii e degli slittamenti, opera, con un forte incantamento lirico, la trasposizione dall’antico, nell’obliqua luce inquieta, del nostro presente.

Carlo Di Lieto