Urlo di luce
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Prefazione Lo sguardo poetico di Elda Biagi coglie allo stesso tempo due immagini che tendono a sovrapporsi fra loro, ma che in realtà riguardano un’unica visione del mondo. Gli oculisti la chiamerebbero diplopia, cioè a dire la stessa immagine vista due volte. Si tratta di qualcosa di differente dalla famosa contrapposizione esposta da Paolo nella sua Seconda Lettera ai Corinzi, Le cose che si vedono sono solo per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne. In realtà lo sguardo della Poetessa osserva contemporaneamente in doppia visione la stessa rappresentazione del modo: c’è l’effimero, il transeunte, il caduco, che la Poetessa intende come le cose prodotte dalla trasformazione continua della materia, cioè quelle che “sono per un solo tempo”, ma più sfumate e comunque sovrapposte alla stessa visione mondana quelle stesse cose si manifestano nella loro durabilità, cioè “sono eterne”. Ciò che la poetessa intende esprimere è l’immanenza dell’invisibile, la presenza dell’Assente, il Deus absconditus che in verità è visibile nelle cose presenti, come nei giochi enigmistici di nascondimento nei quali bisogna sapere interpretare le orme di una figura che non lascia traccia di sé perché è confusa fra le altre. Sul discrimine di questa vetta, tra teosofia da una parte e materialismo dall’altra, si esprime Urlo di luce come fusione in metafora poetica di due componenti opposti fra loro, la caducità e l’immutabilità. In verità nel testo trionfa una massima del poeta filosofo e giurista Hugo Gorzio, Etsi Deus non daretur, ossia “ancorché Dio non sia dato” che suona come un invito a vivere come se non ci fosse alcuna eternità. Va detto che tale esergo è stato ripreso con forza da Dietrich Bonhoeffer, pastore luterano, eroico oppositore di Hitler, tanto da partecipare alla congiura che organizzò l’attentato nel 1944: la religiosità dell’uomo deve essere professata come se Dio non esistesse, perché “qual Dio si paleserebbe all’uomo?”. Quindi, mentre lo si nega, ecco che lo si nomina: in questa doppia azione c’è la sovrapposizione di due immagini della stessa cosa, la caducità e la durevolezza sono entrambe presenti nello stesso soggetto. Anche la contrapposizione dei due vocaboli che costituiscono il titolo del libro – urlo e luce – insieme non costituiscono propriamente un’endiadi orientata a completare la stessa significazione, ma semmai un contrasto o un’antinomia, perché l’urlo è sostanzialmente paura, rivolta e rabbia, mentre la luce è meraviglia, armonia e dolcezza, ed ecco, quindi che Urlo di luce diventa una visione doppia. Nell’Urlo c’è anche la memoria artistica e letteraria del pittore Edvard Munch e del poeta Allen Ginsberg, entrambi interpreti nel Novecento di un maledettismo di antica marca francese, che in Munch diviene nevrosi psicologica e in Ginsberg ribellione civile e liberazione sessuale. Ne deriva la complessità del messaggio poetico di Elda Biagi, la quale si pone come memoria recettiva della vita quotidiana e delle radici del nostro tempo, in una dizione densa di significati, di attese e di speranze, ma anche semplice ed essenziale, raccolta nella preghiera antichissima e rinnovata del Padre Nostro, invocazione ottativa dell’essere umano rivolta a sé stesso e allo stesso tempo – per quel fenomeno di doppia visione che sigilla l’intero libro – come refolo d’ansia metafisica che s’innalza sui nostri duemila anni di cristianesimo e forse sul milione o più d’anni dell’orma umana che ha lasciato la sua morsura sul Pianeta Azzurro. Sandro Gros-Pietro |
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