Cocchiera solitudine
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Premio I Murazzi per l’inedito 2016
(Dignità di stampa) Motivazione di Giuria
L’atmosfera di bellezza e nostalgia ricreata nei versi costituisce esempio mirabile di liricità sospesa tra estasi della natura e forti emozioni dell’animo, in un'atmosfera vagamente onirica e di dolci delicatezze, segno inequivocabile di un animo poetico esercitato nell’espressione nitida dei sentimenti.
Prefazione Il sentimento del tempo, che vela e disvela gli attimi della gioia e poi spegne gli entusiasmi e fa apparire “che la vita è soltanto / luminaria natalizia / accesa e spenta / nel gioco del tempo”, è la questione centrale del discorso sulla solitudine di Domenico Novaresio, poeta attento e sensibile a documentare le più lievi tonalità d’umore dell’animo umano, rifratto nello specchio dei versi, tra i lattiginosi lucori del movimento delle nuvole in cielo, nelle quotidiane stanze delle care abitudini domestiche, sulle marine deserte della stagione autunnale ovvero nello splendore chiassoso dell’estate, fra i giochi dei ragazzi che inconsapevolmente scialano al vento l’innocente superficialità della loro fugace gioventù. In un’atmosfera di arresa melanconia e di armoniosa bellezza si dipanano le catene dei ricordi e riecheggiano le voci care delle persone amate, “ogni cosa / perde valore sotto la polvere. / E mischiarsi alle ombre / nel girotondo crudele / di minime esistenze / e avere paura / perché tace l’usignolo / e mute sono le voci / che furono un giorno”. La natura è sempre presente nella poesia di Novaresio, che, da buon piemontese, divide a metà le sue contemplazioni tra le campagne e le marine, in un continuo rimestio dei giorni passati, un rimescolare continuativo delle esperienze vissute e, ancora di più, di quelle perdute, quasi un’ecolalia al sonetto celeberrimo di Petrarca, “Solo et pensoso i più deserti campi / vo mesurando a passi tardi et lenti”, scrive ai giorni nostri il Poeta di Carmagnola: “Forse si vive / per essere soli, / piccoli grilli / che ritmano alla luna / nel maggengo maturo”. Eppure nitido si conserva il ricordo, ombreggiato da rimpianti e solarizzato da emozioni, dell’amore verso la donna: “Avevamo colato / il nostro amore / col vaglio della luna sul granoturco maturo. / caduco era risultato intrecciare luci e ombre / sulla polvere senza voci / d’una notte che scommettevamo / avremmo detto sprecata. Ricordo: fiutavamo il calore / sciolto sulla pelle / e chiedevamo la pioggia / quasi a volere rigenerare / l’innocenza sporcata. E già ero solo, / ad arrancare mesto / sulla strada della vita / che non sapevo individuare / nei passi in solitudine”. La solitudine cocchiera, dunque, ricorda la mosca cocchiera, che si arroga il diritto di essere capace di trainare il carro, perché punge il cavallo e lo stimola a reagire e a proseguire nella sua fatica. Similmente il Poeta ci lascia intendere che uguale funzione svolge la solitudine nella vita di ogni uomo: ci tormenta con il suo pungiglione e ci stimola a continuare lungo il nostro percorso di vita, che, quasi in un pessimismo di eco leopardiana, approda a un dolce naufragio verso il nulla ovvero verso i polverosi ricordi del passato, le care “ricordanze” che ci tengono compagnia, in malinconica dolcezza, nelle ore tarde della sera. Sandro Gros-Pietro |
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