Incontri nella nebbia
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Prefazione Un artista disegnatore, di cui restano oscure le generalità, si reca in treno a Roma quattro giorni prima di Natale per ricevere un incarico dal suo editore. Deve progettare la copertina di un romanzo il cui autore è una fiamma dal duplice corno, si chiama Stefano Urbani ma è anche Friedrich Hansen. L’ambiguità della fonte creativa scatena un’ansia inquisitoria nel protagonista che si mette in cerca dello scrittore, presentatogli sommariamente nell’ufficio editoriale. E da lì inizia l’anabasi del romanzo che si svolge e si intreccia in una Roma incantatrice ed enigmatica, avvolta nella nebbia che sfuma i contorni delle cose e delle persone. È una nebbia talvolta pungente, come puntura di tormentosi aculei, e talaltra protettrice, con morbide folate equoree. Insieme alla nebbia, di cui è ovvio il valore metaforico di anfibologia occludente le forme e i significati della realtà, l’autentico protagonista della vicenda è la città di Roma, le sue piazze, le sue fontane, i suoi palazzi, ma anche i vicoli, gli angoli e gli androni, e poi le scalinate, le statue, le testimonianze storiche, i vestigi imponenti dell’antichità oppure i ruderi che il tempo ha eroso, e per finire si aggiunga l’anelito della natura che soffia il suo respiro attraverso tanta storia di civiltà: il volo nel cielo e il verso nell’aria degli uccelli, il fruscio degli alberi, il gioco luminoso e ombroso delle luci, con l’alternarsi del giorno con la notte, del sole con la luna. È evidente il sottaciuto richiamo autobiografico espresso nella figura del protagonista innominato, il quale è la proiezione di un alter ego dell’autore, ma lo sguardo di Dino Claudio sul mondo si oggettiva in una reificazione dei sentimenti e delle situazioni umane, totalmente affrancata dalla confessione personale: come bene dice Alessandro Bitetti è “lo sguardo di un meta-io-lirico, dotato di un superiore distacco, che avvolge la struttura della poesia, nascondendo l’elemento biografico fino a farlo scomparire”. Sandro Gros-Pietro |
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