Poi sia
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Prefazione L’esplosione creativa di Davide Riccio non si limita a essere manifestazione di estro artistico, tra l’altro elemento sicuramente presente e sfavillante nei suoi scritti. Dietro la forza della sua incontenibile fantasia e capacità di metamorfizzare la lingua e, quindi, il racconto del mondo attraverso la parola, c’è una prodigiosa memoria che ha immagazzinato e pazientemente archiviato una dose immensa di notizie del presente più prossimo – nel quale la pandemia provocata dal Covid-19 giganteggia in modo quasi asfissiante o comunque contamina gli altri oggetti e le persone dell’attualità – ma anche c’è una superba messe di notizie del passato sia recente sia remoto, nonché una raccolta d’informazioni riguardanti i luoghi patri e natii come quelli dell’estremo Oriente e del nuovo Occidente, al di là dell’oceano. Il significato etimologico del vocabolo poesia, come ben si sa, significa creare nel senso di costruire, cioè usare dei materiali per erigere una sorta di monumento, forse all’inizio si intendeva un muro in pietra, diciamo un cumulo di materiale ammassato. Il materiale con cui il Poeta costruisce è fornito dalle parole, le quali insieme producono la rappresentazione di ciò che c’è e di ciò che non c’è. Per dirla con il Nostro, le parole impiegate rappresentano il “poi sia”, un criterio di accettazione e di resa al divenire inarrestabile delle cose, di cui il Poeta è cantore, nunzio, vox clamans, veggente, strillone, amanuense, archivista, interprete, demiurgo: che altro? Si può dire un poco tutto, ma non si deve dire che sia anche responsabile. Il Poeta, infatti, è beatamente irresponsabile di ciò che dice, poiché parla per estro. Egli è perfettamente assimilabile al giullare di corte: ciò che dice non cale, per volere degli dèi: Poi sia, ciò che si vuole, ma non sparate sul pianista che non c’entra nulla. Sandro Gros-Pietro |
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