Nostalgia di Dio madre nel “pensiero poetante” di Veniero Scarselli
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PREFAZIONE Veniero Scarselli è divenuto un importante interprete della poesia contemporanea perché ha percorso in solitudine la scalata che conduce alla cima del monte, facendo sua l’affermazione di Erik Ibsen, l’uomo più forte della terra è quello che è più solo. La “solitudine” di Scarselli è, a ben guardare, solo una questione di metodo, ma non una condizione di vita. Infatti, pochi poeti italiani sono altrettanto aperti al dialogo, all’incontro e al confronto quanto lo è lui. Pochissimi poeti, inoltre, hanno raggiunto il suo grado di notorietà e il gran numero di interessati interlocutori che ha il poeta di Pratovecchio. Pertanto, la “solitudine” scarselliana non è espressione di anonimato e neppure di oscurità, ma al contrario si concilia con la celebrità e con il dialogo con il prossimo. Eppure, per Veniero Scarselli, nella didascalia breve che ogni critico letterario compila di lui, ricorre il concetto di “poeta solitario e appartato”. Lo è davvero, infatti, il suo metodo di lavoro letterario, così differenziato da quello ricorrente nelle mode letterarie del tempo, che prediligono l’occasione breve, sconsacrata e laica, mentre invece Scarselli punta, in modo solitario, alla ricostruzione poematica, sacrale e fideistica. Il sacro, in Scarselli, non è sinonimo di paramento chiesastico, ma di supremazia eternale dei valori antropologici, che si pongono in una tale condizione di elevazione da apparirci – con espressione dantesca – nipoti a Dio. La fede in Scarselli è la condizione estatica in cui si intuisce che una data visione delle cose riesce a resistere ai tarli del dubbio e alle erosioni della ragione critica. Il poema, infine, per Scarselli è sostanzialmente una metafora della poesia, nel senso che tutta la poesia altro non può essere che un “poema”, cioè un racconto lungo e complesso della creazione e della vicenda mondana, fino all’approdo verso una conclusione che si trova nell’al di là del mondo, per cui richiede il trapasso all’altrove per potere essere descritta dal poeta. Dunque, il metodo di Scarselli è: poema, sacro e fede. Questi tre fondamenti configurano una condizione di lavoro solitario, che si sviluppa lontano dalle mode del tempo e, quindi, anche lontano dall’effimero e dal mondano, che sono le due categorie maggiormente rivalutate dalla poesia contemporanea degli ultimi anni. C’è, pertanto, nella solitudine di Veniero Scarselli, qualche elemento di anacronismo e di rottura con le tendenze letterarie del suo tempo. Sono elementi del tutto naturali per l’autore, che certamente non li ha cercati, ma che tuttavia li ha marcati quasi con compiacimento, per non dire con ostentazione. L’abilissima e ricca lettura che Daniela Monreale realizza dell’opera complessiva di Veniero Scarselli non fa che, più che giustamente, ribadire le condizioni della grandezza e della “solitudine” scarselliana, e ne illumina la valenza letteraria, scientifica, filosofica e antropologica. È ovvio che l’indicazione della “sessualità del divino”, come viene mirabilmente svolta da Monreale, non è certamente un problema bizantino riguardante il sesso degli angeli e non è neppure un rigurgito di paganesimo, con la riassunzione del mito della Grande Madre che fino dai precordi della civiltà mediterranea ha sempre animato e caratterizzato la storia delle religioni, e che è manifesto ancora in modo prepotente anche dentro al cristianesimo, con il culto mariano, centrale nella liturgia cattolica. In realtà la visione del sacro in Scarselli è viscerale e uterina, perché è espressione del laboratorio della vita, cioè della grande fabbrica di tutto ciò che esiste, che si sviluppa, che deperisce, che decade e che si ricrea, in un processo autonomo e immanente a sé stesso. Se vogliamo, possiamo parlare di una visione religiosa di immanentismo al femminile, se per “femmina” si intende, il laboratorio della vita, ma con l’avvertenza che anche il maschio ne è parte costituente e decisiva. Ciò serve solo a ulteriormente chiarire un concetto che è bene sottolineato in Monreale e che è presente in tutta l’opera di Scarselli, e cioè il fatto che il Dio Madre non significa l’assenza del Padre nella cosmologia scarselliana e neppure la prevalenza della donna sull’uomo, ma significa invece l’adozione di un’icona rappresentativa della grande macchina della vita. Sandro Gros-Pietro |
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