Materia grezza

Prefazione

Il tu, al quale la poetessa si rivolge, può essere un vero interlocutore; ma è più probabile che sia solo il destinatario ipotetico di un soliloquio; potrebbe essere, addirittura, considerato il pleonasmo di una forma che agevola una confessione fatta di iati che, altrimenti, sarebbe difficile pronunziare. Serve, forse, a dare argine alla marea sonante del dire. Diventa contenitore, perimetro del cono abissale dove finisce la cascata luminosa delle parole e, ancora, letto del fiume che la conduce e, infine – ma non perché sia l’ultima delle ipotesi -, “il posto di terra fertile”, o il “piccolo campo incolto”, nel quale ogni sillaba può germogliare, crescere, espandersi, riprendere il ciclo.
A questo tu, Aurora De Luca augura che “abbia materia grezza” da esplorare e modellare. Perché è dalla fatica, da un lavorìo costante che nascono i veri e duraturi tesori, al contrario di quelli, caduchi, gratuitamente elargiti dalla Natura.
Il tu, allora, è la stessa “materia grezza” e, la Natura, il mastice necessario a tenere unite le diverse anime del puzzle, la cui immagine risulterà chiara e bella solo alla fine del faticoso percorso. Ma non è detto che, il cammino, avrà veramente fine con l’ultima immagine. Sarà il lettore attento a enumerare le conquiste e a scoprire il mistero che si cela oltre l’apparente confine; perché, nel tragitto, scoprirà storie e cammini-labirinti risolti non con fili mitologici o molliche di favole famose, ma con piccoli e più consistenti ciottoli. E ci sarà, a dare una mano allo svelamento, anche un fiuto infallibile, che capta l’intenso e particolare odore dell’altro, feromoni che hanno il potere di attirare irresistibilmente e di accendere fortissime passioni. Allora, dall’intravisto confine, sotto “un cielo di nuvole bianche”, “la tempesta rappresa” delle parole e delle metafore all’apparenza sembra sciogliersi; all’apparenza, perché, infatti, ad una osservazione più attenta, ecco materializzarsi, ai lati, aperture mimetizzate, che immettono in nuove rettilinei, che condurranno ad altre curve e ad altri misteri.
L’Amore. Descriverlo compiutamente è impossibile. È cangiante e si camuffa con il mutare del tempo e delle stagioni. Le sue ciglia sono, a volte, girasoli; i suoi occhi, di brina; “le labbra sono ciliegie rosse”; la “pelle odorosa”, un lillà e “un’arbustiva fioritura tenace” in grado di resistere a piogge e siccità; rami, le dita e le braccia.
Materia grezza è libro di invenzioni su un unico tema o su temi che si aprono a grappoli e si dispiegano come liquide dolcezze “da bere di sete ed ore”, bevanda, cioè, dionisiaca, in grado di spegnere le arsure del corpo e dell’anima in ogni giorno e in ogni stagione.
Stilisticamente, l’opera si differenzia dai precedenti lavori della De Luca per maggiore omogeneità e personalismo, anche se non si possono escludere del tutto lievissime contaminazioni da letture di classici e moderni, come D’Annunzio, per esempio, in alcuni modulazioni canore e arditezze di immagini, o, per certi ripieghi, se non proprio malinconie,  persino da Parini, come, fin nel titolo, in “Torna in fiore la rosa”.
Consigliamo una doppia lettura: la prima, nel silenzio, a voce bassa, con assai lentezza, gli occhi appena socchiusi, nella più possibile rilassatezza; la seconda, a voce alta e caricati di fervore e di zelo. Solamente così si arriverà a percepire intera l’intensità, l’impeto, il trasporto delle parole che tendono sulle labbra e fanno gorgo spinte dalla pressione del cuore, il grandinare delle metafore, sì che solo la luce febbrile degli occhi ha la capacità assoluta di contenerle e farle fluire tutte nell’assoluta chiarezza; solamente così, insomma, si riuscirà a fare totalmente nostra l’energia che Aurora De Luca esprime in quegli “occhi/infuocati di voce”.
A questo punto, il tu sembrerebbe proprio un soggetto esterno all’io della poetessa, suggerito, però, e manipolato da realtà trascorse o attuali; un soggetto idealizzato, sul quale fa costantemente leva la sua fantasia, creando situazioni e metafore cangianti ma con sempre la centralità dell’amore; un interrogarsi e un rispondersi in un argomentare amoroso e febbrile. Un duale, insomma, dalla De Luca creato per dialogare con se stessa, ma che, tramite le metafore, rappresenta anche la Natura e altro e che, dialetticamente, le permette di discorrere a lungo su un tema apparentemente monocorde, fluidificando il discorso e evitando di cadere nel groviglio e nel banale.

Domenico Defelice