Versi d'autunno
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PREFAZIONE L’elemento fondante della poesia di Antonio Damiano è la rappresentazione della natura nella triplice complessità del regno animale, vegetale e minerale. In tale complessione ecologica del canto si sviluppa l’intreccio polimorfo dei testi, con differenziata pluralità di temi, ma che sempre si riconnettono alla meraviglia del mondo conoscibile. L’esperienza umana è, dunque, la nave di Argo che attraversa l’oceano e che proietta la sua ombra sulle divinità marine, che seguono l’avventura umana dall’abisso della loro eternità. La metafora dantesca dell’ombra di Argo viene ripresa e accolta come strategia epica del racconto nella poesia di Damiano, autore che ha in comune con il Fiorentino la visione antropomorfa dell’intero universo. Va detto che pochi autori al pari di Antonio Damiano appaiono così pienamente rappresentativi dell’alta tradizione poetica italiana, giunta alla sua più completa fioritura e maturazione nel fasto del ventesimo secolo, per partire da Pascoli e d’Annunzio per arrivare siano a Montale e Luzi, passando attraverso l’alto magistero di Ungaretti e, in speciale modo, di Quasimodo. Al centro della visione di Damiano c’è, ovviamente, la nozione soggettiva della poesia, che è il fondamentale concento di tutte le voci poetiche del Novecento italiano e che deriva in linea diretta dall’eredità anticipatrice lasciata da Leopardi ai posteri. L’io poeta, nella sua fantasiosa accezione di un autobiografismo improprio – cioè di una storia raccontata in prima persona, come esperienza diretta di vita sia vissuta dal poeta stesso sia vissuta in altri luoghi & tempi, da personaggi reali o immaginari, ma presentati come alter ego del poeta – è Argo stessa, ossia è la navicella che viaggia per il mare del conoscibile umano e che lascia dietro sé una scia e una timida ombra tracciata tra i flutti e il chiaroscuro delle acque, rigeneratrici all’infinito di nuova vita e di altre storie. Nasce così il dolce e melanconico sentimento della nostalgia, che è la condizione sentimentale trionfante in Odisseo e nei suoi innumerevoli emuli letterari che compongono la ricchezza della nostra tradizione letteraria, come leggiamo in Damiano in molte sue poesie, tra le quali si può citare Itaca, nei versi “Ognuno ha un’isola nel cuore, un’Itaca / Lontana, che traluce nei suoi occhi / Sospesa nel ricordo. E lo accompagna / Nei suoi giorni, tremula sull’acqua, / Mentre con affanno solca il mare della vita”. Ma più che un’avventura d’animazione fattivamente congegnata, il viaggio di conoscenza di Damiano, secondo l’esperienza letteraria dei grandi narratori del Novecento da Joyce a Musil, è una riflessione meditativa della mente e, almeno in parte, è una lezione di autoanalisi psicologica. L’eterno fluire del tempo, sempre uguale e sempre diverso, se da un lato si riallaccia alla concezione di Parmenide, d’altro canto rappresenta anche un invito a spostare la ricerca della verità all’interno dell’individuo, in una dimensione personalizzata e psicologica del vissuto, proprio perché troppo uguale a sé stesso è sempre il nuovo tempo e il nuovo luogo che sorge all’orizzonte degli eventi possibili. La differenza, dunque, sta nell’interpretazione soggettiva e personalizzata delle vicende occorse. Questo anelito di autenticità del vissuto rappresenta l’anima vitale in ogni parte della poesia di Antonio Damiano e si rende accorato appello di poesia onesta, nella concezione sabiana del termine: è vero ciò che è illuminato dalla autenticità del vissuto, esperienza incisa nello spirito e nella carne, sovente come piaga che sanguina e più raramente come elezione illuminante di rara bellezza e di facondo amore. Sandro Gros-Pietro |
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