Farfalle di Dio
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In un tempo così poco conciliato con la vecchiaia e con la morte, è dicibile la vecchiaia, è dicibile la morte? Caterina Marsaglia
Angela Donna ha scritto un racconto che non ha nulla di prosaico. La narrazione è illuminata dalla vibrante immaginazione poetica della scrittrice e il movimento dei personaggi è teatralizzato in un canto amebeo, come accadeva nei contrasti d’amore di medievale memoria. Ma qui non si tratta di due amanti che si inseguono o si eludono. Al contrario, è un incontro ravvicinato tra il padre morente e la figlia che non riesce a contenere la pena che prova davanti allo scempio che l’estrema senilità produce sull’amato genitore. Il padre che fu marinaio, sta partendo per l’ultimo viaggio, a bordo del suo letto da infermo, come nave ormeggiata alla banchina del porto. E su quella banchina, c’è ancora una volta l’adorata figlia, che gli porta le medicine al capezzale, e che lo invoca e lo vezzeggia, come tante altre volte aveva fatto nei precedenti viaggi, nei momenti della vita festosa, ma che ora fa nel momento della pietà. Sono pagine in cui la tensione non cala mai; c’è un canto fermo che è un acuto continuo, e che non ha nulla a spartire con le cantilene funerarie. Piuttosto, in modo sorprendente, c’è una solare intensa e dolce celebrazione della vita che si sta spegnendo nel padre, c’è la composizione della dignità del morituro, che si congeda eroicamente, pur nella miseria del suo stato d’impotenza, ma che, illuminato dall’amore della figlia, appare bello e tragico come Ettore sotto le mura di Troia, quando stanco di scappare, si volge verso Achille per abbracciare la morte a lui decretata dagli dei. Non è dato scappare alla finitezza della vita; nessuno ci riuscirà, per quanto si sforzi di procrastinare il momento con la fuga o per quanto cerchi di cancellare le avvisaglie della vecchiaia incombente. La vecchiezza, così tetra e deforme come ci appare descritta dai classici ed in genere dagli autori del passato – che per lo più manifestano commiserazione, orrore e talvolta anche disprezzo verso gli anziani – appare meno tragica e meno crudele agli autori della modernità. Alcuni scrittori moderni, infatti, hanno avuto il coraggio di fare una scelta un tempo assolutamente improponibile, cioè di prediligere un uomo in tarda età per il ruolo dell’eroe protagonista, come accade nel celeberrimo romanzo di Hemingway, che individua nel più annoso pescatore del villaggio, già evitato da tutti a causa del suo attemparsi, l’eroe che ingaggerà la lotta solitaria con il gigantesco pesce spada, e che ne uscirà vincitore. Ciò non significa, tuttavia, conciliarsi con la vecchiaia, ma semmai spostare il suo inizio più avanti negli anni. Del resto, la conciliazione con l’ultima età della vita non è mai possibile, né è mai augurabile, per alcun essere umano. Ho letto la migliore definizione sulla condizione dei vecchi nei racconti di Cechov: la vecchiaia è triste non perché cessano le gioie, ma perché finiscono le speranze. Sandro Gros-Pietro |
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