Jesus
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PREFAZIONE DOMENICA PRIMO DI NOVEMBRE: TRA FEDE, POLITICA E PROVOCAZIONE In principio era il verbo. Ma prima del principio? Era il caos: quel caos fatto di luci e tenebre, pronto ad esplodere come cosmo. Subito dopo il principio, in cui riposava il verbo che si sarebbe fatto carne. E nella carne c’era un cuore che, in attesa di essere trafitto e crocifisso, aveva un battito divino: perché quel cuore riposava altrove. E tutto questo era spirito, ma era anche vento. E tutto questo era parte prima ma anche parte seconda di uno stesso libro. Quel libro che, passando dal Vangelo all’Apocalisse, il profeta divora. Quel libro che, scritto da un poeta, accende nelle tenebre la luce. Però questo è un momento poetico, indebito e residuo, che non ci doveva essere. Debbo interromperlo perentoriamente ed immediatamente, passando ad un’altra modalità di scrittura. Passaggio pessimo, che più pessimo non si può. Il peggio del peggio, dunque. Pur continuando a sperare nel meglio, bisogna sempre prevedere questo peggio superlativo. Mi ripeto, ma eccolo: passare da un momento poetico ed una modalità di scrittura a cadenza di embolia. Pausa: il mio cervello sta andando in corto circuito. Cos’è? Cosa significa? Embolia: come voce di un comune dizionario resta a secco, nuda di ogni suono. Per fortuna un dizionario enciclopedico di supporto la vocalizza come occlusione di vaso sanguigno, come possibile causa d’infarto. Siamo vicini al peggio del peggio, ma è sempre possibile sperare. Infatti qualche lemma appresso, nell’ambito di una estesa sinonimia di significati, troviamo il termine embolismo: preghiera liturgica con cui si chiede la liberazione da tutti i mali. Non più embolia, non più infarto: non più corto circuito. Solo un embolismo che è preghiera: libertà e liberazione. Da tutti i mali: riecheggiando una precedente petizione, interrompendola con un inserimento immediato e perentorio: con un intercalare, insomma. Con una modalità di scrittura, e vedremo dopo come e dove, tipica di Rizzello: uso a frammentare ritornelli nell’altissimo stile del ditirambo. Lui lo fa con le parole, io lo faccio con i giorni. Avevo incominciato a scrivere questa pagina di “diario” l’8 ottobre, mercoledì. Ora sono già a Domenica, primo di novembre: un intercalare dai tre a quattro giorni. E che giorni! Ma ricominciamo da quello che avevo già scritto all’alba del 28: prima del suo passaggio da Roma in transito verso casa dal Molise. Tra fede e politica: a metà strada c’è la poesia. Tappa già superata, con il grido (l’Eu) e i Momenti di Rizzello: con i momenti di questo mio primo appuntamento di insolite pagine di “diario”. Resta la profezia, scoglio difficile da affrontare… Ma, da oggi, è il giorno giusto: per incominciare ad affrontarlo. Oggi Rizzello, di ritorno dal Molise, passa per Roma: con ogni probabilità avrà con sé il “malloppetto” di quanto già scritto. Mi preparo lo schema per quest’ultima pagina di “diario”. Prefazione: “e fu subito poesia…! Postfazione: ”resto in attesa della profezia…!” Intermezzo: “sarà tutta politica, condita con la fede…!” Mi correggo: ”resto in attesa del ritorno di Rizzello, del Gesù di Rizzello….!” Il pomeriggio del 28 il “malloppetto” era già nelle mie mani. Già, pranzando insieme al ristorante della Stazione Termini, tra una pausa e l’altra, ne avevo fatto una veloce lettura. Abbastanza per proporre a Rizzello due scansioni in prima e seconda parte del libro in gestazione. La prima, la sua col titolo Nel cuore in altrove (vedi poesia in epigrafe); la seconda, la mia, intitolata Nel vento lo spirito. Per la mia non ci sono problemi: non ho alcuna intenzione di variare la titolazione. Per la sua, si vedrà. Bene. Per la parte mia, appena avrò finito questa quinta pagina del “diario”, mi sarò liberato da tutti i mali. Per di più, sono riuscito a intercalare tre capoversi prima del quarto che avevo già scritto. Bene: sto per chiudere il quinto capoverso avendo tra le mani quello che Rizzello è riuscito a scrivere finora. Non è proprio il Ritorno di Cristo ma gli è assai vicino. Che non lo diventi del tutto? Si vedrà, anche questo si vedrà. Ci eravamo dati appuntamento telefonico per la mattina di venerdì 30 ottobre. La telefonata c’è stata, ma, su di essa, si può anche sorvolare: salvo che mi è scappato di definirlo un “folle sacro”. C’è fede, ironia e sacralità in questo: come nel sottotitolo de La Commedia Divina, l’opera che segue il Giuda e che si chiuderà in trilogia all’apparire del Ritorno di Cristo. Adesso comunque, e con le mie sole forze, sono già in grado di stilare una conclusione sia pure provvisoria. Lo confesso: ho usato la parola embolia in modo arbitrario ma il termine si è inserito nel contesto con modalità di notevole pertinenza. La procedura si è rivelata più che corretta. Ne ho poi divaricato il significato, passando dalla pratica liturgica alla finzione letteraria. E non ho ancora finito perché “stabilirò” un nesso esplicito tra liturgia e letteratura. Ieri, sabato 31 ottobre, come di consueto alla Messa Vespertina dell’Arciconfraternita con assolvimento del precetto festivo. Oggi, domenica primo di novembre: solennità di tutti i santi. Solennemente, entro nella cronaca del giorno. Dalla tasca del giubbotto estraggo il foglio domenicale usato ieri pomeriggio durante la celebrazione eucaristica. Un titolo: “noi saremo simili a Lui…” e poi una citazione: “I santi non sono eroi alla stregua del grandi personaggi di Plutarco. Un eroe dà l’illusione di superare l’umanità, mentre il santo non la supera ma l’assume… si sforza di assomigliare il più possibile al suo modello, Gesù Cristo”. Dopo la citazione, in parentesi e in corsivo, l’autore: Heorge Bernanos. Scrittore che nelle sue opere, in stile realistico e insieme visionario, si fa portatore di violenti conflitti spirituali. Intravedo una sintonia di stile con l’opera di Rizzello: sintonia di stile e di contenuto. Lettura e cadenza di segnalibro. Ho davanti a me, a misura di vecchia maniera, una quarantina di cartelle dattiloscritte. Secondo il gergo di scrittura computerizzata, circa sessantamila caratteri. Il primo segnalibro cade a metà della quindicesima cartella. “Cosa vuoi che conti se sia davvero il Messia Universale oppure no!? Il Cristo… davvero il Cristo, l’incarnato, appunto, oppure Gesù: semplicemente, umilmente Gesù, un comune Gesù, effettivamente indiscutibilmente e innanzitutto un uomo e figlio dell’uomo…!?” Detto alla Bernanos, non un eroe che supera l’umanità in quanto tende al divino ma un santo – il Santo dei Santi – che rinuncia alle prerogative proprie della divinità per “assumere” l’umanità… Secondo segnalibro, in caduta libera poco oltre i tremila caratteri: “Ci basta quel Suo insopprimibile, imperioso scatto d’ira, di ira veramente divina con cui rovesciò, mandò all’aria quella mezza dozzina di banchi, con relative colombe ed altre insignificanti mercanzie come se avesse voluto gettare all’aria il mondo, davvero il mondo intero con tutte le sue arretratezze, meschinità e miserie”. Questo Cristo basta a Rizzello, ma basta anche a noi? Sì: bastano questi due soli “segnalibro”: Bastano, possono bastare. Tramite essi l’umanità intrinseca nel Gesù di Nazareth si accoppia alla divinità del Cristo di Michelangelo: il Cristo del Giudizio Universale, il Cristo dell’Apocalisse di Giovanni. Un terzo segnalibro inutile, allora? Più che altro superfluo. Le beatitudini “evangeliche”, per come riformulate dal Rizzello, si accoppiano perfettamente al furore “dantesco” di invettive che fanno presagire i giorni dell’ira. Per contro, al fine di segnalare tutto quello che meriterebbe di essere segnalato ci vorrebbe un numero infinito di detti segnalibro. Per tutto quello che manca, basta invece un’ultima citazione: “Si chiuda il sipario. Basta che non sia uno scenario apocalittico, tipico di quanto intravisto l’anno scorso una mattina di settembre al centro di New York (poi ribattezzato Ground Zero). In quel cerchio, o in quel cratere, tra le rose portate dai parenti delle vittime della strage, dovrebbe andare in scena il Gesù di Rizzello”. L’anno era il 2002. E oggi, a sette anni di distanza, si cita pari pari dalle ultime righe della nostra prefazione all’opera La Commedia Divina di Rizzello. Una prefazione intitolata In Paradiso prima della fine del Mondo. Una prefazione che, in chiave di postfazione, si può considerare un momento poetico che si chiude profeticamente come se fosse un momento politico. Come questa quinta ed ultima pagina del Diario. Giuseppe Valli |
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