Ventuno poesie d’amore
![]() |
€ 7,00
EUR
Spedito in 2 giorni
|
Descrizione Inserisci un commento |
PREFAZIONE C’è un equilibrio perfetto in questo Ventuno poesie d’amore, tale che non è trascurata neppure la cabala, visto che ventuno è pari a tre volte le sette meraviglie del mondo. L’esergo dedicato a Friedrich Schiller apre il libro con una voluta intonazione pre-romantica, all’insegna di quell’ideale di “anima bella” che ha costituito il nocciolo centrale della visione del mondo schilleriana, orientata attraverso la gioiosità del gioco a una definizione di libertà che, precisamente, eleva l’uomo dalla condizione ferina di essere imprigionato dalla materia all’estasi divina di creatura accostabile alla assoluta libertà che è in Dio. Ma l’accenno a Schiller è, sì, un omaggio di riguardo al grande poeta e filosofo, ma non è tuttavia un calarsi esaustivo nella poetica del tedesco e neppure è una nostalgia dello sturm und drang goethiano e del valico di congiunzione tra l’illuminismo e il romanticismo. Adriano Accorsi vive con consapevole pienezza e con arresa dedizione il tempo moderno e l’attualità, e se è vero che la memoria letteraria che c’è in lui gli consente di sognare omaggi, accostamenti, dediche, appropriazioni e corrispondenze con i grandi interpreti del passato idealismo – vi sono accenni evidenti a Dante e non solo – è anche vero che il suo incontro con la realtà del mondo è un viaggio di conoscenza nell’hic et nunc, e quindi in quel groviglio di inclinazioni contrastanti, esperienze per tentativi e per sondaggi, in quegli abbozzi improvvisati e disarmonici che sono il grande merito del “tuttismo & compattismo” con cui ragionano gli uomini del ventunesimo secolo, all’insegna dell’esperienza cosiddetta “globale”. Le ventuno poesie sono, infatti, una rappresentazione globale dell’amore. C’è l’amore che è immagine di soavi sensazioni e di accumuli sinergetici di bellezza e di dolore, come nei versi “Sapevi di muschio / e d’erba bagnata, / sapevi di cieli sospesi, / […] / E la tua voce / sapeva di pioggia / d’autunno che cade / sul bosco cantando / lamenti di morte”. Sulla stessa lunghezza d’onda, altrove leggiamo “C’era l’inverno fuori / con i vetri appannati di tristezza. / Il tuo corpo sapeva di menta / e dalla bocca sorgevano canti / di mille fisarmoniche. / Ma nelle vene soffiava il cigno / il suo ultimo canto”. Sandro Gros-Pietro |
Prima di essere pubblicato, dovrà essere approvato dalla redazione.