La vita come anima del mondo

L’attività di scrittura è sempre stata per Adriana Torchio la massima espressione creativa. Nel 1985 ha pubblicato il primo libro di poesie, La vita è un’anima. Nel fluire poetico delle parole risplendono e ricadono i significati rivelatori della visione del mondo, che si poggia sull’unico cardine dell’amore, autentica vertigine dello spirito, che inebria di sé ogni esperienza di vita. Le sue poesie sono visioni d’estasi che possono assumere sia la manifestazione istantanea del lampo abbagliante di luce sia la forma implorante della preghiera mistica, rivolta a Gesù, in quanto simbolo umanizzato dell’amore divino. Co­stante che sempre si ripete nella poesia di Adria­na Torchio è il superamento della ragione e, quindi, l’adozione di un linguaggio espressivo metarazionale, in cui i nessi tra significanti e significati – oltre che la sintassi del periodo e la paratassi delle coordinate – non rispondono all’ordinamento razionale delle cose, ma paiono invece orientati a una visione rivelatrice ultramondana e ultrarazionale. È la più piena negazione del cogito ergo sum di decartesiana memoria ed è il ritorno alle origini fondanti del pensiero cristiano, che si riverbera nell’agostiniano credo quia absurdum est. È il fascino luminoso del mistero delle cose e degli uomini; è l’identità inspiegabile della vita e della morte; è la coincidenza perfetta della gioia con il dolore. In questa dimensione di fede rivelata si colloca tutto ciò che Adriana ha fatto nella vita, cioè gli atti di guaritrice e le parole di poetessa. È questa la sua vita come anima del mondo.

Sandro Gros-Pietro

Di tutti i padroni che Dio ci dà, di tutti gli avvenimenti che ci tormentano, il dolore è il più duro. Spoglia l’uomo dell’essenziale e dell’accessorio, dell’amore e del lavoro, si è nudi in quel corpo piagato. Eppure ci sono delle anime grandi che esultano quasi di fronte a questi eccessi di spogliazione. Adriana Torchio è una di queste. A costoro non è difficile credere che Dio ci ha amato, che ci ama ancora più profondamente oggi che ci stritola. Per tutte le anime meno generose per tutte quelle che cedono come le nostre alla disperazione, lo sforzo deve puntare su questa fede: la certezza che siamo amati. In questi versi l’anima rimane miracolosamente salva, libera, poiché è distaccata e trae consolazione anche dall’eccesso della miseria. “Come il vostro flagello mi consola” è la preghiera di Pascal ammalato. E alla fine dopo averle lette anche il meno cristiano tra noi è tentato di ripetere la preghiera straziante dolce e straordinaria dei due pellegrini sulla strada di Émmaus, allo Straniero sulla soglia della buia taverna: “resta con noi, perché scende la sera…”.

Domenico Quirico