Commento di Federico Del Viva
![]() Suite di prose liriche
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autori: | Giacomo Panicucci |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Suite di prose liriche: è questo il frutto del Giacomo Panicucci poeta o del poeta Giacomo Panicucci? Dalle note biografiche del volume, veniamo infatti a sapere che il giovane autore è compositore e studioso di musica, e questa informazione facilita la comprensione del titolo della raccolta, concepita, lo precisa l’autore stesso, in modo da essere associata all’ascolto musicale. Per definizione, una suite è un insieme di brani pensati per essere suonati in sequenza. I vari episodi che compongono questa raccolta hanno la fisionomia di movimenti differenti, che ricordano sia la compostezza e la maestosità della musica classica, sia l’eccesso e l’oltranzismo del rock più duro e sanguigno, creando una notevole armonia d’insieme nella loro diversità. Se Panicucci è il compositore della suite, a dirigere il concerto è la mano del destino, filo conduttore della raccolta ed elemento movente l’affresco umano ivi dipinto.
La silloge ci presenta (tra gli altri) personaggi come Un matto, Fratello estasi e Miguel, bambino maltrattato che trova un libro di fiabe in mezzo ai rifiuti, rifiuti di un metafisico ecosistema urbano, che è metafora a sua volta di un mondo destinato alla distruzione. Comprensione interpersonale, solidarietà e amore sono le uniche vie di salvezza. Il poeta è molto attento alle descrizioni spaziali del mondo da lui tracciato: i versi diventano in alcuni componimenti vere e proprie pennellate, grazie alle quali si dipingono paesaggi alla Van Gogh, arricchiti di significati ulteriori grazie alla dirompente forza espressiva della parola. Quello che Panicucci compie è un viaggio attraverso molteplici squarci paesaggistici, ognuno dei quali ha il suo valore estetico ed emotivo: la città universitaria, le viuzze del centro storico di provincia, i vicoli di Sassari. Il suo vagare in questi spazi non è mai casuale o inconsapevole, c’è sempre molta attenzione al dettaglio: i movimenti dei gatti sui tetti, i fili carichi di panni gocciolanti, l’urlo dell’ubriaco che viene dallo scantinato, il fetore dei muri intrisi d’orina. Ed è proprio in questi scenari di degenerata bellezza che si colloca l’orfico canto del poeta, il quale si inietta nelle vene - tese come corde di strumento musicale – gioie e dispiaceri di un mondo folle (rappresentato dalla copertina hopperiana) poichè - come ha scritto su di un muro una ragazzina innamorata – “perdersi nella passione è meglio che perderla”.
Molto curata, inoltre, la lingua riproducente parlato e dialoghi, sempre attenta alle giuste inclinazioni diatopiche (vedi la riproduzione del dialetto sardo e il ricorso a proverbi locali), diafasiche, diastratiche (vedi l’uso del gergo del junkie-spacciatore). Panicucci gioca con il lessico dei registri stilistici come un cuoco che sperimenta pietanze nuove, unendo sapori e ingredienti tra loro distanti: il risultato è una letteraria pietanza, saporita, sostanziosa e non scontata, memore della lezione mescidante della Divina Commedia. Le varie citazioni introduttive ai poemetti, ci fanno inoltre capire di aver a che fare con un autore colto, duttile e versatile. Anche in queste ultime, il Dante dell’Inferno e del Purgatorio viene chiamato in causa più di una volta. Panicucci si vuole collocare con quest’opera nel filone della prosa lirica e dei poemetti in prosa, iniziato da Baudelaire e ripreso in Italia in ambito vociano-espressionista. Questa volontà è ulteriormente sottolineata dalla citazione baudeleriana posta ad inizio opera. Nel suo intento rinnova e attualizza, attraverso i suoi componimenti, quella ricerca di sublimazione del marcio e del degrado già iniziata in ambito ottocentesco, e che è, nel suo caso, sia denuncia sia contemplazione estatica del lato oscuro dell’umana natura.
Le sue influenze letterarie appaiono molteplici e variegate: oltre alle già citate, impossibile non riconoscere nella figura di un Cristoforo Colombo pirata ed avventuriero un evidente omaggio a R.L. Stevenson, mentre ad esempio, in componimenti come Lo studente cattivo e il suo corvo appaiono influssi di Poe e Dostoevskij. Alcuni aspetti del verso di questo poeta sono stati definiti, nella prefazione, "neobarocchi": questo non deve spaventarci, ci troviamo infatti, signori, di fronte ad un musicista, e la lunghezza di alcuni versi sottolinea la ricerca di musicalità ed evocazione, senza risultare perciò prolissa.
Questa raccolta sarebbe piaciuta ad artisti come Campana, Tozzi, Viani, Pea, Pasolini e Fellini, uomini che, pur nella loro diversità, hanno fatto la storia dell’arte con la A maiuscola, quella cioè che mira a rendere più ampio l’animo umano senza badare alla mercificazione. Il volume è stato pubblicato dalla Genesi Editrice nella collana Le Scommesse. Personalmente, ritengo che Giacomo Panicucci sia un autore sul quale si può scommettere molto: teniamo presente che questa è la sua opera d’esordio. Opera prima che lascia quindi ben sperare, perchè si capisce da subito che le potenzialità e le cifre stilistiche di questo giovane poeta-musicista sono altissime. Lode all’editore, che ha svolto un ottimo lavoro sotto ogni punto di vista, e soprattutto a Giacomo. Lettura vivamente consigliata.
Federico Del Viva
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